Recentemente, alle varie forme d’arte ritenute meritevoli d’attenzione si è aggiunta quella dello street writing: graffiti murali sovente pregevoli, spesso non proprio autorizzati (e a rischio con la legge), ma, in ogni caso, espressioni artistiche del tutto pacifiche.
Tra le forme di ‘arte’ meritevoli di ben altra attenzione, a carattere strettamente giudiziario, devono invece annoverarsi i ‘lavori’ di alcuni writer cagliaritani, ben poco pregevoli sotto il profilo strettamente artistico (si tratta di imbrattamento allo stato puro), e certamente ben poco anonimi, a giudicare dalle note ‘firme’ che appaiono su tali ‘opere d’arte’, alcune delle quali riconducibili al manipolo di antagonisti cagliaritani che ormai da anni, con la tolleranza del sindaco Massimo Zedda e della sua maggioranza di sinistra, occupa illegittimamente un locale scolastico. Graffiti davvero edificanti, soprattutto quanto ad educare ai principi della ‘nonviolenza’, per gli studenti che ne sono i lettori privilegiati – anche se, ultimamente, si notano tali ‘capolavori’ anche all’esterno di studi professionali – trattandosi di ben poco velate minacce di morte che, al netto del leader nazionale di CasaPound, Simone di Stefano, bersagliano regolarmente i più noti esponenti di Casapound in città, come Edoardo Lecis ed Enrico Balletto, candidati alle ultime lezioni politiche.
Sarebbe, forse, il caso di convincersi che queste ‘opere d’arte’, incredibilmente ignorate dalla stampa ‘ufficiale’ (quando non prese per burle da qualche cronista schierato) – ci auguriamo note alla Procura della Repubblica di Cagliari – non possono essere equiparate a quelle di uno dei tanti innocui writer, compresi quelli più imbrattatori che artisti, dato che in altre stagioni politiche, alle scritte sui muri, seguì l’uso ‘alternativo’ delle chiavi inglesi, per esempio nei confronti del povero Sergio Ramelli (diciottenne militante del Fronte della Gioventù ucciso a Milano nel 1975), e sulle minacce a fini politici non è proprio il caso di scherzare. Si rischia, altrimenti, di varcare la linea rossa che separa la libera manifestazione del pensiero dal concorso morale nei reati che certi esaltati, ben poco scoraggiati da chiunque si renda tollerante nei confronti delle loro imprese criminose (fortunatamente, finora, contenute in città), possono commettere.
Nei confronti di chi pone in essere simili condotte, l’unico atteggiamento praticabile, come avvenne negli anni ‘70, è l’isolamento politico e sociale. Se ne facciano persuasi coloro che, con leggerezza pari all’inconsistenza dei loro argomenti, solidarizzano spericolatamente con la ‘docente’ torinese distintasi per aver augurato la morte alle forze dell’ordine impegnate, a Torino, nel respingere le violenze antifa: questo personaggio va, semplicemente, allontanato dalla scuola alla velocità della luce.
Ci pensino i militanti e gli eletti dei partiti antifascisti che ritengono di muoversi nel solco della legalità costituzionale, dato che è destituita di fondamento giuridico qualsiasi iniziativa, come quelle spinte dal ‘ricatto morale’ dei sedicenti antifa e di altre aree oltranziste dell’antifascismo, che antepone le ragioni di un preteso ‘antifascismo militante’ a quelle della legalità, e che in questo contesto, continuando a proporre mozioni sulle ‘città antifasciste’, rischiano solo di gettare benzina sul fuoco di animi già incitati.
Caesar
(admaioramedia.it)