Dal 28 settembre 1970, con la morte del presidente della Repubblica egiziana, Gamal Nasser, indiscusso leader del panarabismo, cambia fortemente lo scenario nel Medio Oriente, anche per la spregiudicata strategia dei dirottamenti aerei scelta dai palestinesi per porre la loro battaglia all’attenzione del mondo. Scelta che imbarazza in particolare i paesi arabi moderati e i paesi europei che intrattengono rapporti costanti sia con Israele che con chi protegge e spalleggia i fedayn. Il nuovo presidente egiziano, Answar al-Sadat, diventerà il nuovo protagonista di questo scenario, soprattutto per il suo difficile rapporto con Gheddafi. Intanto, sempre nel 1970, il 7 settembre, era iniziata l’azione dell’esercito giordano, decisa da Re Hussein di Giordania, per allontanare i combattenti palestinesi dal suo territorio. Nonostante l’accordo che scaturì tra giordani e palestinesi, solo nel luglio 1971 il Monarca dichiarò “il ripristino della sovranità, il controllo e la calma assoluta”. L’operazione, che causò decine di migliaia di vittime, compresi molti civili, determinò anche la nascita di una nuova costola terroristica delle organizzazioni palestinesi, Settembre Nero, sorta per iniziativa di alcuni membri di Al-Fatah. Fu proprio questa nuova formazione ad assassinare, il 28 novembre 1971, Wasfi al-Tal, primo ministro giordano.
«Per comprendere sino in fondo la crisi del 1980 è necessario conoscere la strategia dei singoli gruppi palestinesi, il ruolo della Libia e di Israele – ha evidenziato Valerio Cutonilli, che, nell’occuparsi dell’inchiesta sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980 (“I segreti di Bologna“, scritto a quattro mani con l’ex giudice Priore, e “La strage di Bologna tra ricostruzione giudiziaria e verità storica“), ha studiato lo scenario internazionale di quegli anni – Dopo l’operazione coi dirottamenti in contemporanea (settembre 1970) e la cacciata dei palestinesi dalla Giordania, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) prosegue le operazioni terroristiche in Occidente. Nel frattempo al suo interno si sono verificate alcune scissioni, tanto che può capitare di far confusione nell’attribuzione degli attentati ai vari gruppi. Nasce il Fronte democratico popolare per la liberazione della Palestina (Fdlp) di Nayef Hawatmeh, rigorosamente marxista, che concentra le sue azioni soprattutto nell’area mediorientale. Un’altra formazione che prende vita da una scissione è il Fronte popolare per la liberazione della Palestina – General command (Fplp-Gc) di Ahmed Jibril, con una connotazione fortemente filosiriana. Il fondatore è addirittura un ufficiale dell’aviazione siriana, ovviamente di origini palestinesi. Si tratta di un gruppo più ristretto rispetto al Fplp, ma con capacità militari notevoli. Alcuni degli attentati più efferati compiuti in Occidente sono riconducibili proprio a questa formazione. Per esempio, l’attentato ad un aereo svizzero diretto in Israele (21 febbraio 1970): viene fatto precipitare con una bomba a bordo, causando 47 morti».
Eppure, i vertici palestinesi non sembravano preoccuparsi per gli effetti delle loro azioni. “Lo scopo dei dirottamenti – scrisse George Habash – era quello di portare la questione palestinese fuori dall’anonimato e mostrarla all’opinione pubblica occidentale, che al tempo era pressoché sconosciuta in Europa e negli Stati Uniti. Volevamo intraprendere azioni che suscitassero una reazione sull’intero mondo. C’era una ignoranza generalizzata sulla nostra sofferenza, in parte dovuta al monopolio del movimento sionista sui media occidentali”.
«Sia Habash che Wadi Haddad non si preoccupano delle conseguenze negative che questi attentati generano nell’opinione pubblica internazionale. In un’intervista dell’epoca, Habash dichiara in modo esplicito che a lui interessa maggiormente che l’opinione pubblica sapesse non che fosse d’accordo. Non cerca il consenso, si rende conto anzi delle possibili reazioni negative, ma attraverso queste azioni vuole dimostrare il potenziale militare della sua organizzazione, rendendo così ineludibile la soluzione del problema palestinese. Tale indifferenza per il ‘danno di immagine’ provocato dalle azioni, anche indiscriminate, costituisce una caratteristica peculiare del Fplp di tale periodo. Ciò distingue il Fronte da altri gruppi interni all’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Inoltre, essendo un’organizzazione marxista-leninista, il Fplp cominciò a stringere rapporti sinergici, non solo di solidarietà ideologica, coi gruppi armati dell’estrema sinistra che hanno appena fatto la loro comparsa in Europa. Viene creato un vero e proprio centro di raccordo a Parigi, che sarà operativo sin dai primi anni ‘70. In questo dedalo di rapporti rientrano anche alcuni gruppi estremistici italiani di estrema sinistra. Sotto questo profilo, è ampiamente documentato che il Fplp stringe rapporti con Potere Operaio, che negli anni seguenti vedrà suoi ex militanti fondare la colonna delle Brigate Rosse. Alcuni documenti sequestrati nell’ambito di un’inchiesta della magistratura padovana hanno dimostrato che alcuni esponenti di primo piano di Potere Operaio, già nel 1971, organizzano viaggi di giovani militanti, considerati più dotati sotto il profilo militare, nei campi di addestramento del Fplp in Libano. Analogo discorso occorre per i rapporti instaurati col gruppo che poi darà vita ai cosiddetti Comitati Autonomi Operai, noti per la sede di via dei Volsci a Roma, che non a caso viene coinvolto nella vicenda del traffico dei missili ad Ortona nel 1979. L’instaurazione di questo rapporto con il Fplp è collocabile nel periodo immediatamente successivo all’attentato del Fplp del 30 maggio 1972 all’aeroporto di Lod (oggi ‘Ben Gurion’) a Tel Aviv, che costa la vita a ventisei civili di varie nazionalità».
Il quadro delle relazioni internazionali instaurate, sin dall’inizio degli anni ’70, dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina con l’estremismo di sinistra, anche italiano, conferma il ruolo di questa organizzazione come faro di tutti i gruppi terroristici che operavano in Europa.
«Diversa, invece, è la strategia attuata da Al-Fatah, gruppo egemone dell’Olp. In questa fase, Yasser Arafat assume un comportamento molto più ambiguo nei confronti della lotta armata. Oltre a cercare supporto nei Paesi del Patto di Varsavia, Arafat tenta un’interlocuzione con quelli occidentali, avviando una strategia diplomatica che porterà a risultati non trascurabili. Per tali motivi Al Fatah non rivendica gli attentati commessi nel territorio occidentale. Si nasconde invece dietro la ‘misteriosa’ sigla Settembre Nero. Evitando, così, che le azioni terroristiche possano nuocere all’azione diplomatica che viaggia in parallelo. Oggi, però, è noto che Settembre Nero era guidata da Abu Ayad, un dirigente di Al Fatah, il numero due dell’organizzazione posto alla guida degli apparati di sicurezza dell’intera Olp. Una strategia più sofisticata, ma di certo non meno morbida, atteso che Settembre Nero sarà protagonista di azioni clamorose. Una di queste è l’attentato all’oleodotto di Trieste del 1972, che rientra in una campagna più ampia organizzata contro i centri nevralgici dell’approvvigionamento energetico in Europa»
Il 4 agosto 1972 fu colpito il deposito petrolifero costiero di Trieste dell’oleodotto transalpino, dove veniva stoccato il petrolio che poi finiva in Baviera, Austria e Repubblica Ceca: “Fu un evento pazzesco, che a Trieste si ricorda ancora con inquietudine. Quattro cariche esplosive fecero esplodere quattro serbatoi, in cinque giorni andarono a fuoco 16mila tonnellate di petrolio”, ha scritto il giornalista Giuliano Sadar nel suo libro “Il grande fuoco”.
«Vengono colpiti diversi obiettivi, ma quello di Trieste è particolarmente importante perché l’oleodotto, partendo dalla città adriatica, arriva in Baviera, nel cuore più avanzato dell’economia europea. Questo attentato è stato completamente sottovalutato perché l’incendio delle cisterne non ha causato morti. In realtà, il perito Danilo Coppe, in un libro dedicato ai cosiddetti crimini esplosivi, ha spiegato che l’attentato di Trieste non si è trasformato in una catastrofe senza precedenti esclusivamente per un colpo di fortuna, una questione di venti. Infatti, se la nube tossica che si era generata avesse raggiunto il centro abitato avrebbe cagionato effetti disastrosi. Questa operazione è importante sia per la pericolosità intrinseca, sia perché contiene un messaggio preciso rivolto ai governi europei. Li colpisce su un nervo scoperto, quello dell’approvvigionamento energetico ovvero del loro rapporto coi paesi arabi. Poche settimane più tardi (5 settembre 1972) avviene l’operazione terroristica più nota di Settembre Nero: un commando fa irruzione negli alloggi israeliani del villaggio olimpico di Monaco, uccide due atleti e ne prende altri nove in ostaggio (durante l’incursione delle forze di sicurezza tedesche per tentare di liberarli, morirono tutti, oltre ad un poliziotto, nda). Le due strategie quindi viaggiano in parallelo, quella delle Fplp con obiettivi politici tipici di un gruppo marxista-leninista, e più sfacciatamente dichiarata, e quella più ambigua di Al-Fatah, che associa un’azione diplomatica agli attentati che, però, vengono rivendicati con la sigla di comodo di Settembre Nero. Così da non ostacolare l’azione diplomatica che viene addirittura rafforzata. Più duri sono i colpi inferti dalle ali oltranziste, più la strada diplomatica prospettata dai moderati può interessare i paesi europei. In questa fase, i gruppi armati palestinesi sono convinti di poter contare qualcosa sulla scena internazionale solo attraverso dimostrazioni di forza anche brutali. Il terrore sparso in ogni angolo dell’Europa avrebbe indotto i governi a inserire finalmente nelle loro agende la questione palestinese, agevolando i progressi sul versante diplomatico. Un’altra differenza tra Fplp e Al Fatah (o meglio Settembre Nero) sta nel fatto che quest’ultima organizzazione talvolta si avvale anche del supporto di gruppi estremistici di destra. Nell’operazione di Monaco, per esempio, Settembre Nero si gioverà dell’aiuto di alcuni neonazisti tedeschi».
La strategia di Arafat è sintetizzata nel suo celebre discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 13 novembre 1974. Si presentò indossando l’uniforme militare e la kefiah a scacchi in testa, con un ramoscello d’ulivo e il fodero di un fucile: “Sono venuto a parlarvi con un ramoscello d’ulivo in una mano e il fucile del combattente per la libertà nell’altra. Non lasciate che il ramo di ulivo cada dalla mia mano”. Poche settimane dopo, l’Onu riconobbe il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e concessero all’Olp lo status di ‘entità osservatrice’.
«In tale fase, la strategia di Arafat porta a risultati non trascurabili. Se si vanno a rileggere le cronache giornalistiche dell’epoca, mentre la pericolosità di Habash è manifesta e viene riconosciuta da tutti, il doppio binario di Arafat sfugge a molti. La tendenza dei governi europei a incoraggiare il dialogo con l’Olp trae forza proprio dalla necessità d’indebolire le frange che puntano alle azioni di forza. In questo contesto si registra un’altra evidenza, fondamentale per capire la crisi del 1980. I gruppi dell’Olp che praticano la lotta armata, oltre al supporto sovietico, ricevono in modo molto più disinvolto un supporto economico, logistico e persino d’intelligence dai paesi arabi più legati alla causa palestinese, come l’Iraq, la Siria e soprattutto la Libia, che per effetto dell’ascesa di Gheddafi comincia a svolgere un ruolo primario nel sostegno alle azioni terroristiche. Non a caso, i fedayn sopravvissuti all’operazione di Monaco, arrestati all’aeroporto, vengono poi scambiati dalle autorità tedesche coi prigionieri di un nuovo dirottamento, ai danni di un aereo della Lufthansa. Raggiungeranno Tripoli dove vengono accolti come eroi. Stessa cosa accadrà anche in Italia, nel settembre 1973, in occasione del sequestro a Ostia di missili Strela. Saranno arrestati cinque militanti di Settembre Nero, alcuni dei quali dirigenti dell’Olp. Anche in questo caso, dopo le minacce di rappresaglia contro l’Italia, i terroristi vengono liberati. Parte della trattativa sarà condotta in Libia, dove esponenti italiani potranno incontrare in forma riservata Abu Ayad. I fedayn saranno liberati a scaglioni. I primi vengono accompagnati, con un aereo militare in dotazione a Gladio, nel paese libico. Come al solito. Il ruolo e il supporto della Libia è evidente anche in occasione della strage di Fiumicino del 1973, opera di una frangia estremistica della galassia palestinese intenzionata a sabotare il vertice internazionale di Copenaghen. L’azione causerà 32 morti. Le Autorità italiane sono perfettamente consapevoli della regia libica, ma, nel gennaio successivo, il nostro Governo, riferendo alle Camere, escluderà in modo categorico ogni responsabilità di Gheddafi. Le relazioni con la Libia garantiscono un business miliardario a cui l’Italia non intende rinunciare».
In questo scenario è importante conoscere anche la strategia adottata da Israele, principale destinatario degli attacchi terroristici.
«Fino al 1967, Israele è stata abituata a conflitti convenzionali da cui esce puntualmente vittoriosa per una superiorità sia economica che militare. Da quel momento le cose in parte cambiano. Le stesse potenze arabe sono consapevoli del gap e modificano la loro strategia. L’Egitto, dopo l’umiliazione subita nella ‘Guerra dei sei giorni’, punta a recuperare il controllo del Sinai. Subito dopo la disfatta darà vita a un conflitto di bassa intensità e territorialmente circoscritto. La guerra d’attrito non avrà grossi risultati ma rappresenta una novità. Seppure con perdite maggiori, le Autorità egiziane si convincono di poter logorare Israele. L’Egitto, infatti, per numero, storia e caratteristiche avrebbe potuto assorbire più facilmente le perdite umane. Israele, peraltro, viene chiamato contemporaneamente a fronteggiare una nuova minaccia: il terrorismo palestinese organizzato su scala internazionale. Gli israeliani iniziano ad adottare precauzioni. Come l’utilizzo di personale addestrato e armato a bordo degli aerei dell’El Al e vengono studiate particolari misure di sicurezza all’interno dei velivoli. Ciò consentirà in alcuni casi di evitare stragi di enormi proporzioni. Come, nel 1972, quando i terroristi palestinesi utilizzano due inconsapevoli studentesse inglesi, dirette in Israele da Fiumicino, come vere e proprie bombe umane. Regalano loro un mangianastri imbottito di esplosivo. Ma, grazie al sistema di compartimentazione interno al velivolo, che prevede l’isolamento dei bagagli, l’effetto dell’esplosione sarà ridotto. Il pilota riesce a far immediato ritorno nell’aeroporto romano, conducendo in salvo i passeggeri. Da quel momento, gli israeliani iniziano anche a monitorare i movimenti dei fedayn sparsi in Europa e a osservare le loro relazioni coi gruppi della lotta armata europea. Oltre a uccidere i palestinesi ritenuti coinvolti nelle trame terroristiche. La prima delle operazioni ‘bagnate’ degli apparati israeliani viene condotta in piazza Annibaliano a Roma: il 16 ottobre 1972 sarà ucciso Wael Abdel Zwaiter (esponente dell’Olp in Italia, considerato vicino a Settembre Nero; l’operazione segreta del Mossad, denominata “Ira di Dio”, era destinata ad eliminare le persone ritenute coinvolte, direttamente o indirettamente, nell’azione terroristica alle Olimpiadi di Monaco, nda). Nella circostanza le indagini delle Autorità italiane non risulteranno particolarmente zelanti. Ma le azioni israeliane riguardano anche obiettivi europei, comprovando una crisi nei rapporti interni al fronte filoamericano. Il già menzionato aereo militare usato per condurre in Libia alcuni dei fedayn arrestati a Ostia, l’Argo 16, sarà vittima di un attentato dinamitardo nel novembre 1973. Muore l’intero equipaggio, lo stesso impiegato per la liberazione dei detenuti palestinesi. In sede giudiziaria la matrice israeliana non è stata dimostrata. L’hanno data per certa, tuttavia, esponenti politici come Cossiga e addirittura Taviani, a cui non potevano certo imputarsi pregiudizi ideologici nei riguardi d’Israele».
Sia nel caso dei terroristi palestinesi (liberati dalla Magistratura e poi scappati dall’Italia) che nel caso dell’agguato al dirigente di Al Fatah (il processo in contumacia si chiuse con otto assoluzioni) non si registrò una decisa attività investigativa e giudiziaria da parte delle Autorità italiane. A riprova che il conflitto tra palestinesi e Israele toccava corde molto delicate e insidiose per la politica nazionale. Tanto che, proprio in questo contesto estremamente complicato, prende forma il cosiddetto ‘Lodo Moro’.
«L’accordò con i fedayn giungerà dopo che l’Italia, in numerose occasioni, ha mostrato nei confronti dei detenuti palestinesi una manifesta benevolenza. Si pensi, ad esempio, al fallito attentato organizzato dai fedayn tramite la consegna di un mangianastri contenente esplosivo alle due ignare turiste inglesi dirette a Tel Aviv. Le studentesse consentiranno l’identificazione e l’arresto dei responsabili: terroristi palestinesi giunti in Italia fingendosi studenti universitari. Con un provvedimento munito di motivazioni sbalorditive, i terroristi vengono scarcerati e condotti dai carabinieri in un paesino abruzzese dove scontare la misura del confino. Poche ore dopo, nell’indifferenza delle Autorità, i fedayn fanno perdere le loro tacce. La benevolenza occasionale si trasformerà in un accordo stabile. Il patto, stipulato in segreto, viene in modo pressoché unanime, collocato negli ultimi mesi del 1973, a ridosso dell’arresto ad Ostia dei terroristi palestinesi coi missili Strela. Un accordo oggi ammesso da tutti, eccezion fatta per la magistratura bolognese che si è occupata della Strage di Bologna, che, però, non sempre è stato compreso e ben interpretato. Innanzitutto, perché ricondurlo solamente ad Aldo Moro è quantomeno riduttivo. All’epoca, Moro è il ministro degli Esteri e sicuramente l’interprete principale di questa nuova politica riservata e parallela, che intende stringere rapporti amichevoli con organizzazioni con le quali non si possono avere relazioni ufficiali. Ma non si può trattare di un’azione isolata perché è inimmaginabile che il presidente del Consiglio, Mariano Rumor, non sia compartecipe dell’iniziativa. Il ruolo di Rumor nella codificazione del Lodo viene spesso sfumato perché nell’immaginario complottista il politico veneto sarebbe addirittura uno dei fantomatici golpisti del dicembre 1969. In realtà, in tutta la Democrazia Cristiana, che di fatto ha guidato l’Italia fino alla caduta del muro di Berlino, non sono mai emerse posizioni di dissenso o azioni per ostacolare il patto segreto con i palestinesi. Il partito è allineato, anche se con livelli di conoscenza e di partecipazione differenti. Il Lodo viene supportato anche da esponenti del Partito Socialista che già nei primi anni ‘70 mostrano una particolare simpatia per il mondo palestinese. Ma il Lodo non trova nemici neanche all’opposizione. Non ci sarà mai una levata di scudi del Partito Comunista che riconduce la politica dell’Esecutivo a una preferenza araba perfettamente in linea con il proprio posizionamento di politica estera. Certo, il Pci è un partito di opposizione e non può conoscere i dettagli dell’accordo segreto. Però ne riconosce subito gli effetti, palesati per esempio dalle scarcerazioni ingiustificate. Tace perché concorda. Parimenti inerte resta il Movimento Sociale. Pur avendo assunto nei primi anni di vita un atteggiamento filoarabo, la fiamma guidata da Giorgio Almirante consolida una posizione filoisraeliana, vedendo in Israele l’avamposto dell’Occidente in Medio Oriente. Ciò nonostante, anche nel Msi non si registrano manifestazioni particolari di dissenso. A protestare sarà qualche esponente non di primo piano dei piccoli partiti laici. Va, però, ricordato che il Lodo italiano non rappresenta certo un unicum nel panorama europeo. Altri paesi si comporteranno in maniera analoga. Si tratta di stati con orientamenti politici molto diversi tra loro. Il rapporto di simpatia con gli ambienti palestinesi sarà sviluppato nella Spagna dell’ultimo franchismo e nella Grecia dei colonnelli, quindi due regimi autoritari. Ma analoghe posizioni ritroviamo nella Francia gollista, nella Svizzera liberale e addirittura in Austria o nella Germania occidentale che hanno al governo forze politiche di sinistra democratica».
Un’ampia trasversalità che fa intuire come le ragioni di questi accordi segreti non fossero strettamente ideologiche. E seppure individuabili, in particolare, nella ricerca di sicurezza e nell’obiettivo di porre al riparo i cittadini dalle azioni terroristiche indiscriminate delle organizzazioni palestinesi, ci fosse anche dell’altro.
«Moro lo spiega con esemplare chiarezza dalla sua prigionia, durante il suo sequestro da parte delle Brigate Rosse. Suggerisce un’analogia con la sua condizione. Ricordando che negli anni passati, più volte, attraverso espedienti erano stati liberati terroristi palestinesi, così da evitare il pericolo di gravi rappresaglie. Decisione assunte facendo ricorso al cosiddetto ‘stato di necessità’. Quindi, una situazione eccezionale. Per evitare conseguenze particolarmente gravi, si ammette una deroga alle regole ordinarie. Sono certo che il ‘Lodo Moro’ non si limita allo storno della minaccia terroristica. Sicuramente la sicurezza rappresenta una delle motivazioni più importanti nella scelta ‘segreta’ dell’Italia. Ma non è certo l’unica. Una clausola dell’accordo prevede sicuramente l’impegno dei palestinesi ad astenersi dal compiere attentati contro obiettivi italiani, a fronte della possibilità di circolare nel nostro territorio con armi ed esplosivi. Viene confermato anche l’impegno politico dell’Italia a perorare la causa palestinese sul terreno diplomatico, anche in ambito europeo e internazionale, ma non solo. L’intesa si snoda anche sul versante molto delicato delle forniture d’armi. Ma nel Lodo c’è dell’altro e quest’altro chiama in causa la Libia. L’intesa, infatti, non è sganciata dalle relazioni di collaborazione, sempre più intense, che l’Italia ha intessuto con nazioni sponsor del terrorismo palestinese, come la Libia. Relazioni che devono essere protette anche attraverso i buoni rapporti con le formazioni terroristiche che godono delle simpatie di Gheddafi. Probabilmente, nei prossimi anni, la ricerca storica si svilupperà anche in tale direzione. Verrà esplorato anche l’ambito strettamente economico della diplomazia parallela. Nel quadro degli accordi sotterranei, infatti, i palestinesi svolgono una funzione molto importante come mediatori delle grandi transazioni commerciali che l’Italia realizza con le nazioni arabe. Nel caso della Libia basti pensare alle forniture di petrolio, agli affari tra l’Eni e il corrispettivo libico, alle esportazioni italiane per cifre da capogiro, anche riguardanti un settore delicato come l’industria militare. Per capire le dimensioni del business, si pensi all’intervento operato dalla finanza libica, a metà degli anni ’70, per salvare la Fiat dalla crisi, attraverso l’acquisto di una percentuale rilevante di azioni dell’industria automobilistica torinese. Tali relazioni però non riguardano solo la Libia. Bisogna ricordare la storia, completamente trascurata, dell’affare Eni-Petromin del 1979. Nello scandalo saudita si intravede in modo chiaro l’ombra del Lodo. Si tratta di una fornitura petrolifera gigantesca da parte di Riyad a condizioni di estremo favore per il nostro paese. Un’operazione che fallirà in modo rovinoso per la scoperta delle notevoli ‘provvigioni’ pagate dal Governo italiano a una misteriosa società domiciliata nel Centro America. Inizialmente, il sospetto è che questa società sia destinata a finanziare un’operazione in Italia in danno della segreteria del socialista Bettino Craxi. In realtà, sono convinto che quelle provvigioni fossero il compenso dell’Olp (o meglio dei gruppi in buoni rapporti con il Regime saudita) per aver promosso e favorito un accordo petrolifero d’importanza storica. A conferma di ciò, ricordo che negli incontri preparatori in Arabia Saudita, spunta puntualmente la figura del colonnello Stefano Giovannone, capocentro del Sismi a Beirut, l’ufficiale dei servizi segreti italiani delegato a gestire i rapporti segreti con le formazioni combattentistiche palestinesi. Ovviamente, una diplomazia sotterranea non può essere affidata alle ambasciate. Essa al contrario deve viaggiare su quelle linee riservate che sono prerogativa dei servizi segreti. Non a caso, durante lo scandalo Eni-Petromin viene posto ripetutamente il segreto di Stato. Una cosa inspiegabile in presenza di uno scandalo legato esclusivamente a fenomeni di corruzione. Credo sia giunta l’ora di mettere a fuoco un passaggio non proprio secondario: l’intesa con i fedayn ha molto poco di ideologico e ancor meno di romantico. Alla base del ‘Lodo Moro’ ci sono innanzitutto forti interessi economici. Alcuni di questi concentrati in settori ritenuti di elevata importanza strategica per l’Italia in una fase di crisi di crescente intensità. Esaurito il boom economico, il Paese ha visto la sua crescita rallentare vistosamente. Prima a causa dell’aumento vertiginoso delle materie prime, poi in ragione della quadruplicazione del costo del petrolio. La politica di spregiudicato avvicinamento alla Libia, politica all’interno del quale va collocato anche il ‘Lodo Moro’, rappresenta una via d’uscita dalla crisi. E finanche l’occasione per generare un immenso business, non sempre alla luce del sole, che in una certa misura contribuirà anche al finanziamento illecito di alcuni partiti italiani. Un dedalo di relazioni economiche che aiuta a comprendere quali e quanti interessi entreranno in gioco quando a fine degli anni ’70 la situazione politica internazionale metterà in crisi la diplomazia sotterranea di una nazione particolarmente debole come l’Italia. Durante la crisi del 1980 i nodi irrisolti del ‘Lodo Moro’ giungeranno drammaticamente al pettine. In quanto l’intesa segreta con i Fedayn, che per alcuni sembra funzionare perfettamente, in realtà cela sin dal principio gravissime ambiguità».
Fabio Meloni
(2ª puntata – La 1ª puntata, “Per inquadrarla sul piano storico è necessario ricostruire lo scenario internazionale”, è stata pubblicata l’11 settembre 2021)
(admaioramedia.it)