L’accordo sul prezzo del latte, seppur abbastanza deludente sul piano del prezzo d’acconto, è assolutamente ottimo nel suo complesso. Tre i punti fondamentali: 1) avvio della procedura di commissariamento dei tre consorzi; 2) partecipazione della grande distribuzione ai programmi di filiera; 3) il controllo sui prezzi delle Camere di commercio di Roma, Macomer, Cagliari e Milano.
L’unica pecca – ma spero sia un lapsus – è la griglia del prezzo sul pecorino romano che mi sembra una stupidaggine. Occorre immediatamente chiedere (e ottenere) che il prezzo sia costituito sulla media del prezzo almeno delle tre Dop. E’ chiaro che se la grande distribuzione partecipa al tavolo, dice il prezzo al quale paga il formaggio e, soprattutto, accetta un prezzo minimo, il problema sarà risolto in modo quasi strutturale. Quasi perché servirebbero altre cose: la riattivazione dell’istituto zootecnico e caseario per la creazione di formaggi più adatti ai gusti moderni; il divieto assoluto agli industriali di produrre fiore sardo; un più stretto rapporto con l’università e la ricerca. E così via.
Il prezzo d’acconto è basso: 74 centesimi di euro. Anche se si tratta del 23% in più rispetto ai 60 centesimi iniziali. Quasi un quarto del valore. E, soprattutto, bisogna parlare di un prezzo minimo sotto il quale non si dovrebbe scendere. Nessuno può dire d’essere soddisfatto quando ci si aspettava un euro. Ma tutti sapevamo che passare da 60 centesimi a un euro di anticipo sarebbe stato difficilissimo.
Ho letto il comunicato stampa dei pastori che hanno partecipato alle trattative e sono abbastanza ottimista. Ma ritengo che ci sia da mettere mano al sistema cooperativo in primo luogo. Cioè, ciascun allevatore deve partecipare alle assemblee (basta con le deleghe) e, soprattutto, eleggere i più capaci e non i parenti o quelli che fanno gli spuntini più ricchi. Occorre che le cooperative si sostituiscano agli industriali invece di diventarne schiave. E bisogna fare in proprio ciò che si chiede agli industriali: marketing, inventare nuove tipologie di prodotto, cercare mercati nuovi.
La cooperazione deve essere alternativa e concorrenziale al privato, invece d’esserne succube come fatto sinora. Se i pastori non credono in se stessi, come fanno ad affidarsi a industriali famelici e senza scrupoli?
Il Giardiniere
(sardegna.admaioramedia.it)
One Comment
il Consumatore
Purtroppo i pastori riuniti in Cooperative non sono stati capaci di essere loro a comandare il mercato invece degli industriali. Molte cooperative sono state liquidate per le loro incapacità commerciali, pretendendo che i clienti andassero da loro a pregare di vendere il Romano, invece che andare loro sui mercati. Evidentemente ai dirigenti dava fastidio (la solita invidia) se il direttore commerciale, guadagnasse di più in proporzione alle vendite incrementate.
Oggi a quanto sembra gli industriali avrebbero detto delle bugie perché le giacenze del Romano sarebbero molte di meno. Forse hanno capito che non si può bluffare come un tempo, quando bastava solo una dichiarazione per avere aiuti dello Stato: oggi ci sono i controlli e sono seri. Comunque anche le Cooperative imparino a fare altri formaggi, non solo il Romano, e informare i consumatori, con campagne martellanti, come riconoscere e pretendere i tre formaggi DOP certificati.