Solo ieri, un nuovo arrivo sulle coste sarde, di 13 giovani harraga, in buona salute. Lo sottolineo perché, benché la traversata richieda una decina d’ore in presenza di buone condizioni meteo, molti sono i dispersi ed i morti accertati su questa rotta, a dispetto del silenzio che avvolge la questione sin dai suoi albori. Una questione, del resto, che non è affatto sconosciuta in Algeria, e che anzi ha chiamato ripetutamente in causa la politica nazionale, tanto sul piano delle politiche di sviluppo economico-sociale, quanto su quelle giovanili e culturali.
Una vignetta di dicembre 2018 unisce due temi raramente messi in correlazione, ma intimamente legati: da un lato, la situazione politica con un quinto mandato attualmente sospeso in nome di una transizione guidata, dall’altro, il fenomeno degli harraga, di coloro che lasciano l’Algeria seguendo strade illegali, denunciando così il profondo disagio vissuto nel Paese.
Il desiderio di mettersi alle spalle questa Algeria, evidentemente, è forte. D’altro canto, però, per chi arriva in Sardegna, le chances di giocarsi una possibilità sono ridotte ai minimi termini: la rotta potrebbe essere ribattezzata, infatti, Annaba-Monastir, paese dell’entroterra dove ha sede il centro di prima accoglienza in cui i migranti vengono accompagnati in attesa dell’identificazione e dell’inesorabile rimpatrio. La sola valutazione del fenomeno harga in direzione Sardegna, che ha preso piede nel 2006-2007, basterebbe di per sé a farci riflettere su una situazione interna all’Algeria che si protrae da almeno dieci lunghi anni. Se in un primo momento l’ascesa di Bouteflika aveva aperto le porte alla speranza per il popolo algerino, ben presto le falle del sistema sono emerse chiaramente, schiacciando il popolo nella tacita accettazione di uno status deplorevole ma tuttavia preferibile alle follie dell’estremismo religioso degli anni ’90. Anche alle illusioni vi è una fine, così come alle pantomime di un potere che si dichiara forte dell’appoggio della maggioranza degli algerini, e che in realtà si regge solo su se stesso, in forma cleptocratica, così come ben descritto da Mohamed Benchicou.
Nel mio saggio “Harraga. Il sogno europeo passa dalla Sardegna” (Erasmo, Livorno 2013), ripercorrevo la storia dell’Algeria indipendente suddividendola per decenni: anni ’60: Regionalismo; anni ’70: Nepotismo; anni ’80: Cupidigia; anni ’90: Sradicamento; anni 2000: Morte del popolo; anni 2010: Risveglio? Cambiamento?… L’ultimo decennio è in corso e l’Algeria sta attraversando una fase cruciale della sua vita statuale e nazionale. Ogni periodo è stato caratterizzato da divisioni e paradossi che hanno alimentato corruzione, disgregazione sociale ed etnica, perdita di identità, rassegnazione, paura e rabbia. Il popolo sembra essersi destato con la netta opposizione al quinto mandato di Bouteflika, eppure il potere finge di non capire. L’Esercito si dice animato dagli stessi valori del popolo manifestante, Bouteflika da buon padre di famiglia ha ammesso degli errori e ha già prospettato la soluzione ai propri figli, decidendo per tutti loro cosa fosse meglio fare. I figli dopo la gioia iniziale per il colpo assestato al pater familias, hanno però realizzato di non aver progredito dalla base della piramide verso il suo vertice, e sono scesi nuovamente in piazza. Ma contro chi e per che cosa? La massa unita contro l’obiettivo comune dovrà saper gestire la diversità che la compone e accettare il gioco democratico. Sarà un impervio cammino, ma vale la pena mettersi in marcia.
I conti senza l’oste, è proverbiale, non si fanno. Dunque si attende la mossa del Potere, entità incarnata dalle varie anime di Fln (partito del Presidente), Esercito e Servizi segreti. Come una bestia in gabbia, il Potere potrebbe affilare gli artigli e ingaggiare la repressione, o ammansirsi riconsegnando il Paese preso in ostaggio dal 1962. Tra gli estremi, c’è il tentativo di guidare una transizione, restando in sella e facendo spazio agli altri, islamisti compresi. La cecità, questo è certo, non è più ammessa: il popolo si è riversato anche ieri per le vie di Algeri, dimostrando di non aver subito il fascino delle rassicurazioni retoriche di Bouteflika. Alcuni, invece, sfiduciati, hanno preferito abbandonare la nave e prendere il largo…per Monastir.
Arianna Obinu (Studiosa ed esperta di migrazioni, insegnante di italiano all’Università di Algeri)
(sardegna.admaioramedia.it)
One Comment
il Consumatore
Non crederò mai che con quei barchini piatti, adatti solo ad una navigazione sottocosta e ad acque tranquille di palude o di lago, gli algerini che arrivano in Sardegna, molti dei quali hanno scippato cellulari, computer portatili o furti in negozi, siano potuti partire dall’Algeria e navigare per 10 ore. La capitaneria di porto e le FF. dell’OO. ordine dovrebbero cercare e sequestrare le navi che li mettono in mare vicino alla costa, per arrivare nel sud dell’Isola. Se poi vogliono andare in Francia, che li ha spolpati per anni come sua colonia, come pensano di poter lasciare la Sardegna? Mi piacerebbe che i sardi siano informati nei dedtagli e non continuarli a ritenerli dei cretini.