Erano partiti in tredici, una notte di novembre, su un barchino dalla spiaggia di Annaba in Algeria decisi ad approdare, come tanti connazionali fino ad oggi (negli ultimi tre anni oltre 4.000), nelle coste del Sulcis e mettere finalmente piede in Europa.
Da mesi, ad Algeri, questo gruppo di amici dello stesso quartiere preparava la ‘fuga’ (in Algeria esiste il reato di emigrazione illegale), risparmiando ed accumulando i soldi necessari per acquistare barca, motore, carburante e gps. Solo il motore può costare fino a 7.000 euro, quindi una scelta che è costata almeno 1.000 euro a testa: in Algeria per metterli insieme si deve lavorare circa 9 mesi. Tanti soldi per un algerino, per potersi trasformare in harraga (letteralmente bruciatori), termine dialettale usato per indicare coloro che partono verso l’Europa in modo irregolare, privi di documenti. Bruciatori, come spiega Arianna Obinu, esperta di migrazioni, perché “bruciatori di tappe, di identità (distruggono i documenti per non essere identificabili), di vita (aspirano ad una nuova vita, ad una rinascita)”.
Compiuta la traversata notturna (le spiagge sulcitane distano circa 130 miglia), nel mare a sud di Sant’Antioco erano cominciati i guai: un’avaria al motore ed il mezzo ha cominciato ad imbarcare acqua. Dieci ragazzi, quindi, hanno deciso di buttarsi in acqua per raggiungere la riva a nuoto: nelle ore successive solo due corpi verranno recuperati, a 4/5 miglia ad ovest dall’Isola del Toro. Degli altri otto, nonostante le ricerche della Guardia costiera, dell’agenzia Frontex e della Guardia di finanza, con mezzi navali ed aerei, più nessuna traccia.
Tra i tre che hanno scelto di restare a bordo e sono stati poi salvati da una motovedetta della Guardia costiera, a 16 miglia sud ovest da Capo Sperone, il 24enne Ayoub. Racconta di essersi diplomato ad Algeri, di aver lavorato come autista, ma che la crisi sociale ed economica algerina lo aveva trasformato nell’ennesimo disoccupato: “Non potevo sopportare di stare in Algeria per tutta la vita – spiega – Non potermi sposare, non potermi comprare una casa oppure un’auto. Ho deciso di andare via, ma non potendo con il visto, coi miei amici abbiamo pensato di farlo in barca. Perciò, abbiamo raccolto i soldi necessari e ci siamo organizzati. Anche se c’è molto controllo delle autorità nelle spiagge algerine, anche noi, come molti altri giovani, siamo riusciti a partire, consapevoli del rischio”.
La consapevolezza del rischio è forte, ma – come ha scritto un giovane algerino sulla pagina “Haraga” (dove oltre 41.000 fan possono leggere di questi ‘viaggi’ verso l’Europa), commentando la morte dei suoi connazionali – “nessuno mette la sua vita sulla barca della morte, a meno che il mare sia più sicuro di casa”. Tanto che il Governo algerino parla di 3.109 casi di emigrazione irregolare verso l’Europa bloccati nel 2017 dalla Guardia costiera nordafricana.
Quella notte da Annaba era partito un equipaggio numeroso in una piccola barca di 6/7 metri, tutti buoni conoscitori del mare e verificate le condizioni meteo, armati di gps, si erano avventurati: “Non avevo paura perché conosco bene il mare, ma quando sono salito sulla barca ed abbiamo cominciato il viaggio in alto mare ho cominciato a preoccuparmi. Durante il viaggio è andato tutto normale. Siamo arrivati vicino alla Sardegna durante la notte e abbiamo capito che eravamo vicini all’arrivo. Vedevamo alcune luci, ma il mare era agitato e non siamo riusciti ad avvicinarci. Abbiamo deciso che ci saremo andati il mattino dopo. Abbiamo dormito e quando ci siamo svegliati vedevamo solo mare, la terra era scomparsa. Sapevamo di essere a pochi chilometri dalla Sardegna, grazie al gps. Ma il motore si è rotto, l’acqua ha cominciato ad entrare in barca col rischio di affondarla. Sei amici si sono tuffati subito e hanno cominciato a nuotare, passata mezz’ora si sono buttati anche altri quattro. Io e altri due siamo rimasti sulla barca. Dopo almeno 24 ore sono arrivati a salvarci”. Per gli harraga un’avventura apparentemente facile, forse poco consapevoli di essere clandestini in terra straniera: “Non sapevo che ci sarebbe stato questo problema. Nessuno ci ha mai raccontato o spiegato cosa sarebbe successo. Non avrei rischiato la vita in mare. Sono venuto qui per lavorare, non per avere e creare problemi. Per ora voglio dimenticare quello che è successo, voglio rilassarmi e crearmi qui buoni rapporti”. Per interrompere questo flusso continuo via mare di giovani clandestini algerini, secondo il 24enne “bisogna fornire opportunità di lavoro in Algeria e agevolare i visti regolare verso l’Europa”.
Ora, Ayoub, fortemente provato dalla triste avventura e dalla morte degli amici, si trova in una casa famiglia a Capoterra. E’ in corso l’inchiesta della Procura di Cagliari per naufragio colposo e omicidio colposo plurimo, lui non ha documenti per poter lasciare la Sardegna e non sa se, come probabile, sarà espulso e dovrà tornare in Algeria.
Fabio Meloni
(admaioramedia.it)