La rotta migratoria Algeria-Sardegna è battuta da almeno un decennio, ma nel 2016 ha conosciuto numeri record, con quasi un migliaio di immigrati sbarcati clandestinamente nelle coste del Sulcis e lo sbarco più numeroso, quello della notte tra il 3 ed il 4 dicembre, con quasi 150 arrivi. Un percorso frequentato particolarmente nel 2007, fino al 2012 oltre 4.000 algerini sono arrivati in Sardegna, ma dal 2009, la migrazione algerina praticamente si interruppe: “Fu in seguito alla Legge 94 del luglio 2009, nota come ‘Pacchetto sicurezza’, che ha introdotto il reato di clandestinità, e al parallelo mutamento legislativo occorso nel Codice penale algerino, che ha inasprito le pene nei confronti degli harraga (termine dialettale per indicare coloro che partono verso l’Europa in modo irregolare), rei di lasciare il proprio paese per vie illegali”, spiega Arianna Obinu, esperta di migrazioni e giornalista, autrice di una ricerca sul tema, pubblicata nel libro “Harraga – Il sogno europeo passa dalla Sardegna” (Edizioni Erasmo 2013).
“Si è trattato di un fenomeno inatteso che ha posto l’isola al centro di un sistema di rotte internazionali percorse dai candidati alla migrazione dalle coste africane verso l’Europa. Ogni rotta nasce e si sviluppa in regime di interdipendenza con altre esistenti o estinte a causa dell’irrigidimento dei controlli operati in mare dalle autorità competenti. I numeri, escludendo il 2007, non sono stati importanti quanto quelli registrati in Sicilia o in Calabria”.
Nel 2010-11 gli arrivi non avevano superato annualmente le 300 unità, dato confermato anche nel 2014 e nel 2015 (rispettivamente 159 e 291, secondo le cifre ufficiali della Prefettura di Cagliari), ma la massiccia ripresa del 2016 non sorprende Arianna Obinu, che attualmente è docente universitaria di italiano ad Algeri: “Non sono affatto stupita, le cronache algerine quasi quotidianamente danno conto di tentativi falliti di partenze di harraga. Evidentemente il malessere giovanile nel Paese ha proporzioni non trascurabili, e i controlli non sempre risultano infallibili. Inoltre, l’attenzione mediatica e politica si è concentrata in modo preponderante sui salvataggi in mare dei migranti provenienti dalla Libia e diretti in Sicilia, evidentemente lasciando margine d’azione a chi batteva le rotte mediterranee più ad ovest. Anche il recente arrivo numeroso di harraga non deve lasciare basiti. È già accaduto in passato che l’inverno fosse periodo florido di arrivi, sia per le condizioni meteo favorevoli, sia perché in corrispondenza del referendum, in altre occasioni delle feste natalizie o di fine anno, gli harraga erano quasi certi di sfruttare un calo d’attenzione nei controlli in mare. Fenomeno che non accenna ad arrestarsi e non si sono dimostrati utili come deterrente l’inasprimento delle pene in Algeria contro gli scafisti o il considerare la ‘harga’ (migrazione illegale) un vero e proprio reato punibile penalmente. I fattori di spinta permangono più forti delle paure di dover affrontare il carcere in patria nell’eventualità di essere bloccati in mare dalle autorità algerine o tunisine”.
Gli arrivi in contemporanea di più ‘equipaggi’ e le caratteristiche dei mezzi utilizzati, seppure per una traversata breve (la rotta Annaba-Sulcis è di quasi 250 chilometri, circa 130 miglia nautiche) hanno rilanciato l’idea di un’organizzazione con una ‘nave madre’ che, grazie ad una perfetta organizzazione, porterebbe al largo delle coste sarde centinaia di clandestini, in arrivo prevalentemente dalla costa nord-est dell’Algeria, e poi, divisi in gruppi, in viaggio sui barchini (massimo 6/7 metri, come quelli trovati a Porto Pino, al Poligono militare di Capo Teulada ed a Cala Zafferano) con un motore che possa garantire loro di navigare fino alle vicine spiagge sulcitane, dove vengono recuperati dalle forze dell’ordine ed assegnati alle strutture di prima accoglienza. “Lascerebbe presagire l’esistenza di una rete di ‘smugglers’ organizzati dietro agli harraga algerini, che probabilmente ne agevolano la traversata su mercantili o pescherecci, per poi lasciarli in mare a poche miglia dalle coste sarde, ma ritengo che la contemporaneità degli arrivi non debba necessariamente nascondere una rete criminale organizzata. Il carattere ‘fai da te’ di queste partenze potrebbe essere ancora plausibile, e la partecipazione di più barchini al viaggio potrebbe essere una coincidenza delle ottime condizioni meteo previste. Tra l’altro, il fatto che gli algerini arrivino ben vestiti e affatto provati dal viaggio, è legato sia alla vicinanza tra le coste, sia al cambio di vestiti che portano con sé in sacchetti di plastica”.
Però, proprio in occasione dello sbarco record di inizio dicembre, il comandante del Roan della Guardia di finanza, Italo Spalvieri, ha raccontato che un loro aereo aveva individuato i ‘barchini’ in navigazione solitaria a 50 miglia dalla costa sarda, sottolineando anche la ferma volontà (“Si avventurano con la forza della disperazione anche con queste barche, che sembrano tinozze al limite della galleggiabilità”) degli algerini di lasciare la loro terra: “Vi è un concetto intraducibile in italiano, che è quello di ‘hogra’ – conferma Arianna Obinu – È un sentimento misto, fatto di impotenza, umiliazione, malessere sociale che attanaglia i giovani e uccide la loro speranza di cambiamento, li rende inerti di fronte alla corruzione che secondo loro logora il sistema. L’unica soluzione all’inerzia è l’emigrazione, vista come possibilità di libertà e di cambiamento. Del resto, libertà e stile di vita occidentali entrano nella loro vita attraverso una socializzazione anticipata, grazie alle parabole, ai parenti residenti in Francia da decenni, ai numerosi stranieri che ormai sono espatriati per lavoro nel Paese. Il desiderio di prendere parte a quel tipo ‘way of life’ è fortissimo, per alcuni così forte da aver tentato la sorte più di una volta sulle barche dirette in Sardegna. Seppure, l’Isola sia sempre stata una passerella per l’Europa. Inizialmente la Francia era la meta prediletta, per ragioni di contiguità storico-linguistiche. Ma questa predilezione ha perso terreno di fronte al fascino esercitato da altri Paesi, quelli del Nord Europa, come Svezia e Norvegia, che hanno sistemi di welfare e di accoglienza dei richiedenti asilo più solidi”.
Rispetto alle presenze che si registrano nei barconi che partono dalle coste della Libia e che vengono recuperati nell’ambito dell’operazione europea, dall’Algeria partono quasi esclusivamente uomini: negli ultimi tre anni sono appena cinque le donne arrivate in Sardegna: “Non sono protagoniste in questi viaggi, contrariamente a quanto ci hanno abituato le immagini televisive relative ai salvataggi e agli arrivi di barconi dalla Libia. Senz’altro occorre tener conto di fattori socio-culturali che limitano la libertà d’azione femminile. Uscire in piena notte per raggiungere le spiagge di partenza correndo per di più il rischio di essere fermate dalla polizia e di subire l’esposizione alla pubblica gogna, non gioca in favore della scelta di emigrare per vie illegali. Anche il fattore economico svolge un ruolo deterrente, così come la considerazione che la ‘harga’ sia un’avventura da uomini tout court. Per di più, il peso dello scontento sociale o dell’assenza di prospettive per questa parte di gioventù algerina pronta a perdere la vita per tentare la strada dell’Europa, è soprattutto sugli uomini. Nelle società tradizionali mediterranee, non solo islamiche, è l’uomo che deve provvedere con il suo stato sociale alla famiglia, alla casa, alle spese, ed è perciò su di lui che insiste il dovere della realizzazione economica senza la quale appare impossibile trovare una moglie e soprattutto vedere riconosciuta la propria dignità. Peraltro, la ‘harga’ non è un argomento di discussione in Algeria. I giornalisti per dovere di cronaca raccontano dei tentativi falliti o andati in porto dei giovani dell’est o dell’ovest di partire verso la Sardegna o la Spagna. Ma è come se vi fosse un tacito tabù sul tema, che probabilmente scredita agli occhi dei partner occidentali il Paese, mostrando dei punti deboli che è preferibile tener celati”.
Dall’Algeria, Arianna Obinu apre un nuovo inquietante scenario, ancora sconosciuto in Europa: “Non bisogna dimenticare che l’Algeria vive anch’essa il problema dell’accoglienza migratoria, come gli altri stati del Nord Africa, e che vi sono migliaia di subsahariani che cercano un punto di partenza per l’Europa dalle sue coste. Non a caso nel 2015 su un barchino intercettato a gennaio, i passeggeri erano in maggioranza provenienti dalla fascia subsahariana. Il fenomeno fino ad allora aveva chiara connotazione nazionale, e questo accadimento, se reiterato, potrebbe far pensare ad una diramazione della rotta desertica che dal Niger si dirige a Nord verso la Libia, paese troppo rischioso attualmente. E se i controlli si affievolissero, la rotta sarebbe presa di mira anche dai migranti subsahariani o dai migranti tunisini o di differente nazionalità provenienti dalla vicina Tunisia. Non va sottovalutato il fenomeno e ne vanno analizzate le cause e gli effetti, non solo relativamente al paese di partenza, ma anche all’impatto sulla regione d’arrivo, onde evitare spiacevoli fatti di cronaca”.
Fabio Meloni
(admaioramedia.it)
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