In quel di Sassari, nella chiesa di San Giuseppe, si è celebrato il funerale del professor Giampiero Todini, docente di storia del diritto italiano. A detta dei suoi ex allievi un uomo “garbato, gentile, disponibile”, ma con un difetto: era e si proclamava fascista, senza se e senza ma.
Ovviamente il funerale, per volontà del defunto, si è svolto secondo un vecchio rituale fascista: i ‘camerati’ inquadrati (una trentina) hanno dato l’ultimo saluto al Professore alzando il braccio destro e rispondendo con il grido “Presente” al richiamo “Camerata Giampiero Todini”, con tanto di bandiera della Repubblica sociale italiana sul feretro. Manifestazione del tutto privata, che si è sempre svolta e ancora si svolgerà tutte le volte che fascisti incorreggibili vorranno questo tipo di funerale, senza suscitare particolari patemi d’animo in chicchessia. Ma siamo nell’era dei social network, la cosa è finita su Facebook, suscitando un vespaio di polemiche. Alla carta stampata non è sembrato vero buttarsi sul fatto: articoloni su articoloni e foto formato gigante su tutti i giornali: “L’Unione Sarda” ha avuto un titolo a caratteri cubitali “Funerale fascista, rivolta”, con foto gigante in prima pagina.
Scontate le reazioni del Partito democratico sassarese, irrimediabilmente in crisi, che non sa dove andare a sbattere alle prossime regionali e che con l’antifascismo conta di trovare ancora una qualche solidarietà. Meno scontata la reazione del presidente Pigliaru, conosciuto come persona moderata, di spessore e intellettualmente onesta. Definire i trenta sardi di CasaPound, “Un gruppo di nostalgici messi fuori legge dalla Costituzione”, quando gli stessi hanno partecipato senza problemi alle elezioni politiche del 4 marzo, garantiti dal ministro degli Interni del Pd, Minnitti, significa inventarsi una Costituzione che non c’è. Ma la cosa più grave è che parlare di “gruppo di nostalgici messo fuori legge” per Pigliaru è come parlare di ‘corda in casa dell’impiccato’. Perché, in altra stagione, nel gruppo di nostalgici messi fuori legge militava il papà di Francesco, Antonio Pigliaru, futuro intellettuale della sinistra, grande esegeta di Giovanni Gentile, considerato il più grande uomo di cultura sardo dopo Gramsci.
Sassari, nel periodo 1943-44, era una città tutt’altro che antifascista e, malgrado ai fascisti nostalgici si applicassero le leggi militari di guerra, i fascisti clandestini incuranti della galera (nel solo carcere di Oristano erano in 600) si davano da fare nella propaganda contro gli alleati, che tra l’altro stavano affamando la popolazione sassarese, e a favore della Rsi. Il padre di Francesco militava in uno di questi gruppi che faceva capo a un comitato regionale fascista, gruppo che fu sbaragliato dalla Polizia nel marzo 1944 ed era collegato col Governo di Salò, segnatamente con Francesco Maria Barracu, sottosegretario alla Presidenza del consiglio di Mussolini, tramite una radio ricetrasmittente che l’avvocato Bruno Bagedda, allora ufficiale dei Guastatori, aveva procurato. Così il commissario Colonna, bestia nera dei fascisti, ma essendo ex funzionario dell’Ovra (la polizia segreta fascista) inviso anche agli antifascisti, tra cui Mario Berlinguer, padre di Enrico, negli atti del processo al gruppo: “Nel febbraio 1944 l’Ispettorato speciale di Polizia per la Sardegna veniva a conoscenza, tramite confidenti, che in Sassari si era costituito un comitato regionale fascista. Alla fine di febbraio ed ai primi di marzo il suddetto comitato credette opportuno uscire dall’ombra e iniziare la propaganda tramite un giornaletto, ‘La Voce dei giovani’, stampato e diffuso clandestinamente. Nei primi due numeri era facile rilevare come si facesse l’apologia delle teorie fasciste […] e come si diffamassero con allusioni evidentissime signore della buona società sassarese, colpevoli secondo i compilatori di ricevere con troppa condiscendenza gli ufficiali della commissione alleata. Intanto l’ispettorato veniva informato che il comitato, di cui alcuni membri erano già noti e sottoposti a costante vigilanza, intendeva inviare un emissario nell’Italia occupata per mettersi in contatto col governo repubblicano fascista. Fu così possibile accertare che l’emissario scelto era un tale Putzu Giuseppe, il quale avrebbe dovuto partire da Olbia. Stabilito un riservato servizio di vigilanza delle persone sospette […] fu possibile accertare che domenica 20 marzo sarebbe partito per Olbia il sottotenente Tanda Giovanni. Difatti il Tanda veniva fermato assieme ad un altro ufficiale con il quale si era accompagnato da Sassari ad Olbia e di poi identificato per il tenente medico Bologna Carlo, e trovato in possesso di una busta contenente lire ottomila, mentre il secondo veniva trovato in possesso di un plico contenente: una copia dei primi due numeri del giornale, “La voce dei giovani”; un memoriale sulla situazione in Sardegna al 17 marzo XXII (per lui, il 1944 era ancora anno XXII dell’Era fascista, nda); un convenzionale provvisorio ed una lettera diretta al generale Barracu. Nel memoriale il comitato regionale dava ampi ragguagli dal punto di vista fascista al ‘centro’ […], comunicava l’organizzazione attuale del fascismo in Sardegna e forniva notizie di carattere militare. Il convenzionale provvisorio conteneva venticinque formule per messaggi radiofonici speciali con il corrispondente significato a carattere prettamente spionistico”.
Il 22 marzo, la Polizia, oltre al fermo di Giovanni Tanda, sottotenente del 59° Reggimento di Fanteria “Tempio”, e Carlo Bologna, tenente medico del Distretto militare di Sassari, procedette all’arresto di Antonio Pigliaru, militare in licenza di convalescenza, Gavino Pinna, sergente carrista in congedo, mutilato, ex segretario regionale del Guf e futuro senatore del Msi, Vincenzo Scano, Cesare Berardi, Giuseppe Cardi Giua e il tenente di artiglieria Giovanni Russo. A questi, nei giorni successivi, si aggiunsero Giuseppe Putzu eGiovanni Benetti, che erano stati fermati il 21 marzo nell’imbarcazione bloccata dagli Inglesi. Riuscì invece a sfuggire all’arresto il sottotenente dei paracadutisti Ugo Mattone, che diventerà un famoso regista comunista con lo pseudonimo di Ugo Pirro. Secondo la Polizia, Pigliaru, Russo, Pinna e Tanda erano i redattori de “La Voce dei giovani”, Russo anche lo stampatore ed insieme a Tanda il diffusore clandestino; Scano e Berardi erano incaricati di organizzare gli squadristi della provincia; Mattone e Pigliaru avevano compilato il convenzionale radiofonico, mentre tutti i componenti del comitato avevano redatto il memoriale nonché contribuito alla raccolta dei fondi.
II 27 marzo tutti i fermati vennero deferiti alla Procura militare: Cardi Giua, Russo e Mattone per “associazione antinazionale”; Pigliaru, Tanda, Scano, Berardi, Cardi Giua, Russo e Mattone per “cospirazione mediante associazione per alto tradimento”; Bologna e Putzu per “partecipazione all’associazione antinazionale”; tutti (eccetto Benetti) per “tentativo di rivelazione di segreti militari al nemico”; Pigliaru, Pinna, Tanda, Russo e Mattone per “propaganda antinazionale”, nonché per “diffamazione a mezzo stampa”, avendo offeso la reputazione della signora Antonia Maria Carboni in un articolo, dove le si attribuiva “con espressione ingiuriose” di organizzare “illecite distrazioni” per i militari delle Forze armate alleate, in particolare per un certo Popov, ufficiale russo.
II Tribunale militare di guerra della Sardegna, pubblico ministero Francesco Coco (magistrato di Terralba ucciso a Genova dalle Brigate Rosse nel 1976), si pronunciò il 29 agosto 1944. I capi di imputazione comportavano pene gravissime, ma il Tribunale smontò o minimizzò buona parte delle accuse (i giudici erano quasi tutti filo-fascisti). Ebbe la peggio Mattone, cui furono comminati 11 anni di carcere, ma rimase sempre latitante e non fu mai preso. Pigliaru, Pinna, Tanda e Russo presero 6 anni a testa, Scano, Berardi e Cardi Giua 5 anni e 2 mesi, Benetti 3 anni e 6 mesi, Putzu 2 anni e 8 mesi, Bologna 2 anni. Così la Sassari democratica e antifascista sbatté in galera i giovanissimi nostalgici del fascismo. In quella galera ‘democratica’ dove i fascisti morivano letteralmente di fame: Antonio Pigliaru contrasse proprio lì la sua terribile malattia, che lo portò alla morte ancora giovane nel 1969.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)