I confini tra Italia e Francia, nonostante il chiarissimo displuvio alpino che separa geograficamente le due nazioni, sono sempre stati un po’ ballerini, per non scrivere del velleitario delirio espansionista ai danni dell’Italia del corso-ligure italofono Napolione Buonaparte.
In questi giorni l’ennesimo allarme è suonato grazie alla denuncia della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: “In assenza di un intervento del governo italiano, il 25 marzo entrerà in vigore il Trattato di Caen con il quale verranno sottratti al Mare di Sardegna e al Mar Ligure alcune zone molto pescose e il diritto di sfruttamento di un importante giacimento di idrocarburi recentemente individuato …[Fratelli d’Italia chiede al Governo di] agire immediatamente per interrompere la procedura unilaterale di ratifica attivata dalla Francia a Bruxelles, che in caso di silenzio-assenso da parte italiana, conferirà i tratti di mare in questione alla Francia arrecando un gravissimo danno ai nostri interessi nazionali”. Giorgia Meloni vuole “…fare piena luce su questa storia dai contorni torbidi …[con un esposto circa i presunti] atti di ostilità e infedeltà contro lo Stato italiano”. La Farnesina prova a disinnescare l’allarme ricordando che l’accordo bilaterale del marzo 2015 non essendo mai stato ratificato dall’Italia non può produrre effetti giuridici, e quindi i confini marittimi con la Francia “…restano immutati e nessuno, a Roma o a Parigi, intende modificarli”. L’Ambasciata di Francia chiarisce che il 25 marzo, ci sarà soltanto una “…consultazione pubblica …che non è volta in alcun modo a modificare le delimitazioni marittime”. Routine. Già.
Come la rivendicazione della sovranità francese sulla cima del Monte Bianco? Nel libro di Ferruccio E. Boffi, “Saggi storici e parlamentari” (Remo Sandron Editore, 1924), l’ottavo capitolo è dedicato al saggio “L’arcipelago di Pelagosa: vicende politiche e parlamentari”; arcipelago che è più vicino al promontorio del Gargano nella Puglia che alla penisola di Sabbioncello in Dalmazia. Nel 1891, stanti le voci di allestimenti militari austriaci nell’Isola, l’onorevole Matteo Renato Imbriani presenta una interrogazione parlamentare, rivolta al Ministero dell’Interno, “… circa le condizioni dell’isola di Pelagosa” . In seguito Imbriani insiste per la discussione perché era affare “di grave importanza, poiché il gruppo della Pelagosa che apparteneva al regno di Napoli e che [era] stato occupato dagli austriaci, è sentinella nostra sul mare Adriatico…” , e ancora nel dicembre 1891 Imbriani si rivolge con una interpellanza “al Presidente del Consiglio, ministro degli esteri, Di Rudinì, circa l’occupazione di una parte del territorio dello Stato, imputabile al Governo austro-ungarico”. Il 16 dicembre l’onorevole Di Rudinì non accetta l’interpellanza ritenendola solo un’occasione per fare accademia. L’interpellanza viene ripresentata da Imbriani il 17 e poi ritirata. E scrive ancora Boffi, riportando quanto scritto dal giornale “La Tribuna” del 18 dicembre 1891: “Imbriani [ha sostenuto] una tesi santa in principio e in fatto… La Pelagosa è un’isola, è uno scoglio, è un palmo di pietra – rimpicciolite quanto meglio vi aggrada – che sta in mare italiano, a breve distanza dal Gargano e, appartenente al regno di Napoli sotto i Borboni, fu, in seguito, senza protesta dell’Italia, occupata dall’Austria. Noi siamo amici dell’Austria… e va bene; siamo alleati, e va benissimo; ma non deve essere indipendente da ogni questione di amicizia od ostilità, il diritto di proprietà?”. Imbriani insiste ancora durante la seduta del 26 gennaio 1892 con un’interpellanza, chiedendo al Di Rudinì, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, come si sarebbe comportato “circa un territorio dello Stato occupato dal Governo austro-ungarico, specialmente dopo che la questione [era] stata posta nel Parlamento austriaco”. Nessun esito.
L’Autore riporta poi il Discorso commemorativo di Oberdan, tenuto a Pistoia il 31 dicembre 1891 da Felice Cavallotti (Opere, Milano, Aliprandi, s.a.), che loda Imbriani per la sua difesa dell’italianità di Pelagosa, deplorando l’indifferentismo parlamentare per questioni gravissime quali l’integrità della patria: “…quando penso ai recenti ed indecenti clamori perché una voce libera e fiera affermò il diritto nazionale sopra scogli nostri nel mare; sopra scogli nostri la cui cessione – nulla, in faccia alle ragioni del nostro diritto pubblico interno, colpevole, in faccia alle ragioni militari – la cui cessione, io dico, vuoi per le norme del diritto marittimo o del diritto delle genti e per i limiti del mar territoriale, trae con sé l’abbandono al dominio altrui di una vasta distesa di acque nostre italiane …mi domando con isgomento se sia questa l’Italia per cui le fronti dei veggenti vegliarono, per cui tanti patiboli si eressero, per cui tante spade radiose brillarono al sole, per cui tanti campi furono insanguinati”.
Non v’è dubbio vada riconosciuto al saggio di Boffi il merito di aver difeso la nostra sopravvivenza come nazione, che muore moralmente quando occupa terra altrui, e fisicamente quando perde terra propria. Mentre Cavallotti, dopo aver evidenziato l’assenza di un qualsiasi atto giuridico che legittimi l’occupazione dell’Arcipelago di Pelagosa, con singolare preveggenza mette in rilievo come una estensione ridotta del territorio possa comportare la cessione di una vasta distesa di acque nostre italiane. Singolare preveggenza di quanto sta accadendo nei nostri anni, in virtù del Trattato di pace del 1947 impostoci dai nostri ex cobelligeranti ma pure dall’Italia ratificato nello stesso anno, per cui la Croazia nel 2014 ha potuto legittimamente – nel rispetto del diritto internazionale e delle acque territoriali – bandire una gara di assegnazione per assegnare numerosi blocchi di fondale adriatico per la ricerca di petrolio e gas; e sei compagnie petrolifere internazionali hanno risposto presentando le loro offerte.
Esulando dall’esame stretto delle vicende dell’Arcipelago di Pelagosa come di quello Sardo–corso–toscano secondo il diritto internazionale, si può comunque rilevare come il tanto vilipeso patriottismo nazionale per “uno scoglio in mezzo al mare” possa comportare talvolta per la Nazione conseguenze anche economiche ed ambientali di una gravità enormemente sproporzionata all’entità della perdita territoriale – terrestre o marittima – subita al momento. Non succederà nulla intorno all’Arcipelago sardo–corso–toscano? Bene ha fatto comunque Giorgia Meloni ad accendere un faro sulla vicenda. La corsa alle terre emerse è sempre esistita, ora le nuove tecnologie hanno contribuito ad intensificare anche la corsa alle terre sommerse, per cui accettare Aiaccio o Fiume non italiane può non andare giù a un patriota come Cavallotti e ai suoi estimatori passati e presenti, ma che un pezzo della Puglia sommerso dalle acque sia governato dalla Croazia non dall’Italia e un pezzo della Corsica e della Sardegna sia governato dalla Francia non dall’Italia non può essere accettato, neppure da un distratto opportunista contemporaneo. E se quelle terre sommerse risultassero ricche di gas e di petrolio, ancor meno dalle massaie e dagli automobilisti italiani quotidianamente alle prese con la bolletta del gas e con il conto del rifornitore di benzina. Pro castris maris non solum terrae excuba Italia (Attenta Italia, non solo agli accampamenti di terra ma anche a quelli di mare).
Claudio Susmel – da Oblò
(admaioramedia.it)
One Comment
Giuseppe
Date a Cesare quel e’ di Cesare, e’ stato I’on. MAURO PILI a denunciare l’inciuccio con interrogazioni parlamentari e manigestszioni di protesta e non Giorgia Meloni.