I linguaggi dell’arte, nell’economia e nei sistemi dell’industria culturale e artistica contemporanea, si sviluppano come ricerca locale, fondata dal valore insito nella comunità. I linguaggi dell’arte sviluppati localmente integrano la comunità connettendola a mercati più ampi.
La comunità è produttiva, culturalmente e artisticamente, quando sa non essere populista; la ricerca artistica è localista, perché integra localmente, attraverso il suo farsi didattica e dialettica, le culture del mondo. Il localismo, rispetto al populismo (che può essere anche accademico, quando l’Accademia fomenta pura apparenza invece che ricerca di senso), consente la libertà d’errare e d’errore, è uno strumento d’elaborazione collettiva e connettiva; il populismo è invece un generatore algoritmico di risposte standard: “A cosa serve un’Accademia a Cagliari? Meglio formarsi in mobilità scoprendo il mondo” oppure “Vuoi studiare arte a Cagliari? Restare in Sardegna? Allora l’Accademia è a Sassari”. Certo essere populisti semplifica la complessità del mondo e degli altri mondi, a Cagliari se si parla d’arte ancora di più, dal momento che i linguaggi dell’arte si sono svecchiati nel 1968, con la comparsa di un Liceo Artistico pubblico e statale, che fino a quel momento non esisteva, la rivoluzione è stato istituire una istituzione, di quel Liceo sono invecchiati, defunti e pensionati i maestri, ed ora forse è il momento di fare nascere finalmente un’Accademia di Belle Arti.
L’identità artistica a Cagliari è un’identità disgregata, troppo stacco generazionale, si può intervenire soltanto attraverso una pubblica alta formazione artistica locale e residente. Serve una risposta risoluta, formativa e d’autodeterminazione culturale reale, a quel populismo artistico che sa farsi provincialismo, di cui Cagliari è capitale mondiale. Cagliari deve sapere autodeterminare il proprio localismo, deve pensarlo come altrove dinamico, in movimento permanente. Un problema culturale cagliaritano è legato a una visione che fa della propria staticità valore aggiunto, l’essere statici sembra volere soddisfare un bisogno d’identità, identità che consegnata al solo mercato, non si fa altro che negare. L’identità artistica del Cagliaritano non si determina rimuovendo la storia dell’altro e dell’altrove, l’identità è la relazione con l’umano, con il linguaggio che sa essere sintesi interattiva dell’altro e con l’altro.
Perché scrivo questo? Per raccontarvi di Maurice Mbikay, artista che sa bene quanto e come i linguaggi dell’arte, siano eterotopici, non esistenti, ma determinati dallo stratificarsi del linguaggio nei suoi luoghi. Mbikay, prima di esporre alle Officine di Milano, proviene proprio come un Cagliaritano qualunque da una città di promesse mai mantenute, fatte da politici, dove il divario tra ricchi e poveri è abissale, la sua città d’origine non è Cagliari, è Kinshasa, capitale e maggiore città della Repubblica democratica del Congo. Maurice descrive la sua città d’origine non democratica, racconta che nella sua città l’arte non è supportata dal Governo, ma nonostante questo, a Kinshasa (e non a Cagliari) ha potuto frequentare un’Accademia di Belle Arti. A Kinshasa è il principale istituto educativo di arti visive e applicate, all’interno della quale vengono tenuti corsi di arti visive (ceramica, pittura, scultura) e di progettazione grafica (come, ad esempio, architettura di interni e comunicazione visiva). Quella che potremmo considerare come l’antesignana dell’accademia è l’École Saint-Luc, fondata nel 1943 a Gombe Matadi, nella provincia del Bas-Congo dal missionario belga Marc Wallenda. Nel 1949, la scuola fu trasferita a Leopoldville (ora Kinshasa) e prese la denominazione attuale di Accademia delle Belle Arti solo nel 1957. Nel 1943 a Kinshasa in Congo nacque l’Accademia di Belle Arti, a Cagliari nel 2018 ancora non è pervenuta l’Alta formazione artistica. Mbikay frequenta la sua Accademia, la termina e questo gli consente di accedere al Master in un’altra Accademia, a Cape Town, la capitale del Sud Africa, si specializza e diventa artista a tempo pieno, si forma e determina tra un’Accademia in Congo e una in Sud Africa.
Sbaglio a pensare a Cagliari come l’unica città metropolitana d’Italia e del mondo a non avere Alta formazione artistica? Distante decenni anche da Kinshasa per quanto riguarda l’Alta formazione artistica. La Cagliari del secolo scorso ha pensato come fosse una concorrente del “Grande fratello”, che bastasse essere fotogenica e mass mediale per affrontare le sfide della modernità, ad oggi si è accontentata nel nome dell’arte e della cultura, che tutto ruotasse intorno alla narrazione narcisa di sé. Il web ha rotto lo specchio di una Cagliari che rifletteva sola la sua turistica ed esotica bellezza, i frammenti stanno rilevando la complessità di un mondo, dove la bellezza da cartolina, non basta ad affrontarne le reali dinamiche.
Domenico Di Caterino
(admaioramedia.it)