Un tempo considerato un coacervo di cattiva alimentazione, negli ultimi cinque anni lo “street food” spopola anche in Sardegna, dove ad essere venduti sono prodotti tradizionali come panadas, culurgiones, sebadas, pani frattau, fregula, gnocchetti, ravioli o prodotti bio e vegani.
Una vera e propria rivoluzione del concetto di street food, che non significa più ‘cibo spazzatura’, ma è piuttosto simbolo dei modi di cucinare e della personalità di un territorio, senza rinunciare al gusto e alla salute e reperibile in ogni angolo delle città sui ‘ristoranti’ a quattro ruote o spesso legati a manifestazioni ed eventi.
“Tutto con il massimo rispetto delle materie prime e delle tecniche di lavorazione tradizionali, oltre a una continua attenzione verso le esigenze alimentari dei consumatori – spiega Stefano Mameli, segretario regionale di Confartigianato imprese Sardegna – che sono le caratteristiche principali delle nostre produzioni artigiane, da sempre riconosciute per la loro genuinità e specialità”.
Nel 2018, secondo i dati dell’Osservatorio per le Pmi di Confartigianato imprese Sardegna, ben 156 imprenditori hanno sposato l’idea innovativa di lasciare i locali per attività di ristorazione ambulante, segnando una crescita del 56% negli ultimi cinque anni contro un totale di 2.729 e una crescita media del +58,9% nel resto d’Italia: il maggior numero di attività si trova in provincia di Cagliari (56), segue Sassari (48), Nuoro (15) e Oristano (14). Inoltre, il 24,4% del totale delle imprese sono gestite da under 35, il 2,6% da stranieri.
“Siamo molto contenti della crescita di questo nuovo settore dell’alimentazione – prosegue Mameli – E’ sinonimo di opportunità sia per le imprese tradizionali che innovano e diversificano, sia per le nuove realtà che propongono innovativi stili gastronomici. Lo street food è una realtà viva e creativa fatta di cuochi, fornai, pizzaioli e rosticcieri, di imprenditori giovani e meno giovani ma tutti accomunati dall’orgoglio di conservare tradizioni familiari o di proporre nuovi sapori. Per questo settore è necessaria una maggiore semplificazione delle procedure di adeguamento alle norme sanitarie e del commercio, per consentire al patrimonio storico cultural-gastronomico regionale, rappresentato da una miriade di cibi di strada, sia sempre più forte e competitivo e riesca a contrastare l’avanzata di cibi apolidi capofila di una errata tendenza a globalizzare i sapori”.
Martina Corrias
(admaioramedia.it)