In questi giorni di frenetica analisi politica del voto traspare un generalizzato uso di termini inappropriati: antipolitica e populismo, riferendosi nello specifico alle due formazioni politiche che hanno avuto nel Paese il maggior consenso elettorale.
Quella che in Sardegna ha raggiunto l’apice del consenso ha puntato maggiormente sulla proposta di ‘reddito di cittadinanza’, con il 40% dei Sardi che ha sposato l’idea. Questa ha un tallone d’Achille, noto a chi non si ferma al solo slogan, nell’assenza di contenuti specifici, mancando i presupposti storici, culturali, scientifici socioeconomici a supporto di una simile proposta. Non basta supportare lo slogan con giustificazioni del tipo “in altri paesi è applicato”, perché è altrettanto vero che in molti altri non lo è.
Capita spesso di cadere in questa trappola: in rete si può parlare di radioattività, di decadimento nucleare, senza mai aver frequentato un corso di geochimica o aver consultato la tavola periodica, per parlarne è sufficiente confermare la propria presenza sul tema. Nulla accade per caso e riflettere sul perché del voto fa tornare alla mente un uomo mite e riflessivo che, nel 500 a.C., calcava le terre ad oriente della Sardegna e soleva dire “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”. Il senso di questa frase è stato nei secoli vivisezionato e sviscerato, permettendo a ognuno di noi di ricavarne il significato che meglio si adatta alla propria filosofia di vita, tracciando un solco netto tra assistenzialismo e genesi sociale, tra metodo scientifico e tecnica oratoria. Risulta evidente che tutto ruota attorno alla conoscenza ovvero all’acquisizione di nozioni e di metodo scientifico con costante applicazione.
Intere società hanno basato il proprio sviluppo socioeconomico su questo assunto. Concretamente una società all’avanguardia dovrebbe permettere a ognuno di noi di studiare per poi permettergli di utilizzare il suo bagaglio di conoscenze a servizio dello sviluppo sociale. La vera inclusione sociale passa attraverso la formazione e la restituzione della conoscenza alla società. Nello specifico, la scuola deve essere il fulcro de ‘sa Bidda e su Biscinau’, dove gli si delega la formazione culturale e professionale fondamentale per ogni generazione. Una società basata sulla cultura non ha paura del futuro e non chiede a se stessa l’assistenzialismo.
Così facendo si accredita l’istituzione scolastica come era in passato, e si permette a ogni cittadino di avere il proprio ruolo facendo leva unicamente sulla propria professionalità e sul proprio bagaglio culturale. Ecco che il motore della comunità non sta nella quantità di pesce ma nella quantità di nozioni, che si ha in dote. Lo Stato, se è tale, dovrebbe far leva sull’istruzione pagando i testi e la retta, il vitto e l’alloggio a chi si ritrova in una fascia di reddito che non consente di accedere alla pubblica istruzione. Nel tempo ho visto il sacrificio della mia e di tante famiglie votato unicamente per permettere ai propri figli un grado di istruzione consono e tale che consentisse di mettersi in prima fila per sfruttare a pieno le circostanze della vita. Tanti giovani delle precedenti generazioni sono andati a fare la ‘stagione’ già a 15 anni, fino al termine dell’università, facendo i camerieri, i cassieri, i lavapiatti, i barman, senza vergogna alcuna e con grande impegno e fierezza. Ora molti di loro occupano i primi posti della piramide sociale, consci del bagaglio acquisito con il lavoro e con lo studio. La storia è piena di esempi di Stati, soprattutto in Oriente, che hanno applicato e che applicano ancora questo principio. Appare pertanto assodato che la strada per uno Stato che intende tracciare la via della crescita culturale e sociale sia una sola: il reddito di conoscenza ovvero garantire l’istruzione a tutti.
Tutto ciò premesso, direbbero i giuristi, oggi compare un signore dallo spiccato senso dell’umorismo, originario di terre poste a settentrione della Sardegna, sostenendo che “Molte persone sono convinte di avere un posto di lavoro, ma hanno solo un posto di reddito“. All’affermazione dell’Uomo d’Oriente non occorre fare nessun corollario; il successo attestato dalla storia non ammette repliche e sembra che l’affermazione sia nel tempo piuttosto collaudata. Nel contempo sembra aver resistito bene al logorio imposto dagli agenti atmosferici e quindi ha superato indenne prime e seconde repubbliche, leggi elettorali proporzionali e maggioritarie, ha bypassato Facebook e Twitter e non è stata scalfita dalle moderne bombe d’acque e dalle siccità epocali.
La seconda affermazione propinata alle masse sotto forma di reddito (obolo) di cittadinanza esce rafforzata dal suffragio universale, numericamente minoritaria seppure particolarmente soddisfacente in Sardegna. Nonostante sia risultata ai più accattivante, pochi hanno perso tempo ad evidenziare che scardina ogni sano principio di igiene mentale e soverchia gli assunti di educazione civica di una moderna convivenza civile. La storia racconterà che il reddito di cittadinanza cadrà per penna di un preciso ragioniere dello Stato, che senza euro nel suo capitolo di bilancio dovrà farsi scudo da questa iniziativa creativa, ma priva di contenuti scientifici e socioeconomici.
Uranio238
(admaioramedia.it)