Nei giorni scorsi, nell’ambito di un nuovo filone del processo per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, sono stati riesumati, su disposizione della Corte d’Assise, i resti di Maria Fresu, una delle 85 vittime dell’attentato, ma certamente una della morti più misteriose.
La donna era una 24enne sarda, originaria di Nughedu San Nicolò, arrivata qualche anno prima in provincia di Firenze, a Gricciano, frazione del piccolo comune di Montespertoli (provincia di Firenze), insieme a papà Salvatore che, con altri sette figli (sei donne ed un uomo), si era trasferito in Toscana ad allevare le sue pecore. Quella mattina del 2 agosto, l’operaia tessile era partita per le vacanze al Lago di Garda con la figlia Angela, neanche 3 anni, e si trovava nella sala d’aspetto dove avvenne l’esplosione. Con loro anche due amiche, una morta insieme alla piccola Angela, mentre l’altra si salvò, nonostante le gravi ferite. Però, del corpo di Maria non si trovò alcuna traccia, eppure l’amica superstite raccontò che al momento dell’esplosione erano tutte insieme.
Nonostante le ricerche nelle ore seguenti, Maria non venne più ritrovata, come disintegrata. Furono recuperati solo frammenti di corpo, per la precisione del volto, o meglio furono attribuiti a lei in quanto ‘non mancanti’ a nessun altro dei corpi recuperati. Fu Giuseppina, la 23enne sorella di Maria, insieme al padre Salvatore, ad essere convocata il 18 agosto (sedici giorni dopo la strage) per il riconoscimento di quei resti («un lembo di volto umano, glabro e con capelli lunghi, assieme ad un frammento osseo, corrispondente a un epifisi femorale»), e poi a raccontare di aver ricevuto una cassetta contenente i resti (un lembo facciale in un barattolo di vetro con la formaldeide), consegnandola, così com’era, agli uomini dell’agenzia funebre perché fosse messa dentro la bara di Maria.
Con grande sorpresa, però, i periti incaricati dal Tribunale hanno trovato pochi resti, senza cassetta e senza barattolo, posati direttamente su un cuscino. Il materiale esumato è stato preso in consegna da un colonnello del Ris di Roma e sarà esaminato nei prossimi giorni (metà aprile). Comunque, da una prima valutazione parrebbe che i resti trovati dai periti siano completamente diversi da ciò che era stato descritto nella perizia che attribuì quei resti a Maria Fresu sulla base della cosiddetta “secrezione paradossa“: una tesi, fin troppo originale, che tentava di spiegare come il gruppo sanguigno A, identificato nei resti organici, fosse differente da quello (gruppo 0, come peraltro padre, madre, fratello e sorelle) della vittima sarda. Per esempio, nella relazione si parlava dell’occhio sinistro e di un dente, che, come hanno precisato i periti, se fossero stati messi nella bara si sarebbero dovuto trovare anche dopo 39 anni.
L’analisi dei resti, sepolti nel cimitero toscano di Montespertoli, grazie alle moderne tecniche, è finalizzata a comprendere che tipo di esplosione si sia verificata a Bologna, tale da far ‘scomparire’ un corpo quasi interamente, ma soprattutto a stabilire, con l’esame del Dna, se la presunta ‘disintegrazione’ del corpo possa essere servita a nascondere la presenza di un’altra vittima, trovandosi così in presenza di un clamoroso inquinamento delle prove.
Con questo caso, la Sardegna torna involontaria protagonista nel mistero della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. L’altra presenza che non è mai stata chiarita fino in fondo è quella del passaporto di Salvatore Muggironi, un professore di Aritzo, vicino ad ambienti della sinistra extraparlamentare, ritrovato tra le macerie dopo l’attentato, senza aver mai appurato, per troppi silenzi e tanti ‘non ricordo’, come fosse finito nella sala d’aspetto della stazione bolognese, seppure l’insegnante sardo si trovasse a Bologna nei giorni precedenti l’esplosione.
Fabio Meloni
(sardegna.admaioramedia.it)