I professionisti del partito preso potranno pure storcere il naso, ma non c’è dubbio sul fatto che l’alleanza fra Partito sardo d’Azione e Lega sia non solo la vera novità politica delle elezioni regionali sarde ma anche un fatto politico senza precedenti a livello nazionale che, questa volta sì, vede la Sardegna come laboratorio.
Infatti, l’incontro fra più antico partito autonomista sardo ed il più recente partito autonomista italiano, nella sua ultima versione nazionale, è un percorso che viene da molto lontano e presenta alcuni interessanti tratti comuni. Sardisti e leghisti, in primo luogo, si conoscono e si frequentano da almeno una trentina d’anni, esattamente da quando in entrambi era molto presente l’opzione indipendendentista (per non dire secessionista) accanto a quella federalista. Certo, Mario Melis non santificava l’acqua del Tirso come Umberto Bossi quella del Po, ma entrambi mettevano nel mirino una politica ‘romana’ incapace di comprendere le diversità politiche e culturali di una Italia geograficamente unita ma concretamente divisa prima fra nord e sud e poi in tante altre parti.
Questa idea, bisogna riconoscerlo, ha contagiato trasversalmente la politica italiana a destra come a sinistra e, al netto di una utopia indipendentista, che sopravvive a stento solo in Sardegna, senza peraltro esprimere una rappresentanza ed un progetto, ha fatto molta strada, ponendo il tema dell’autonomia nelle sue forme più evolute come grande questione nazionale. Per certi aspetti era quindi naturale che i due soggetti che in qualche modo l’avevano ‘covata’ al loro interno ne guidassero (anche se molti anni dopo) i percorsi possibili di crescita, a costituzione vigente.
Naturalmente, i professionisti del partito preso, che stanno soprattutto a sinistra, non la vedono così. Essenzialmente perché questo processo, nella sostanza, è avvenuto e sta avvenendo in un contesto di centro destra e non nel campo opposto. E’evidente, in effetti, che sardisti e leghisti non sono affatto nati da ‘costole’ della sinistra, come diceva D’Alema. Non i sardisti delle origini, alcuni dei quali anzi fecero perfino un pezzo di strada col fascismo per approdare nel dopoguerra all’azionismo (rimasto nel nome) che Togliatti definiva acidamente “un piccolo partito di massa”, e neppure i loro successori, ancorati ad una posizione fortemente identitaria e politicamente ‘terza’ rispetto alle grandi famiglie politiche italiane. Tantomeno i leghisti, il cui ‘seme’ prima separatista e dopo federalista è stato sparso nelle grandi regioni ‘bianche’ del Nord, dove la Democrazia cristiana della Prima repubblica faceva sempre ‘cappotto’, forse con la sola eccezione del Piemonte dove c’era la Fiat.
SardoSono
(sardegna.admaioramedia.it)