Ha raccolto un migliaio di pagine di documenti e tre anni fa ha sfornato un libro di 260 pagine, “Bomba o non bomba” (Minerva edizioni), sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980: 85 morti ed oltre 200 feriti. In quelle pagine, però, Enzo Raisi, ex deputato bolognese di An, Pdl e Fli, non ha potuto fare alcun accenno alla ‘pista sarda’ perché i documenti che l’hanno rivelata non erano ancora conosciuti. Per oltre 30 anni, i rapporti dei Carabinieri che raccontano la storia della borsa e del passaporto del professore cieco aritzese, Salvatore Muggironi, trovata tra le macerie della Stazione, erano ben nascosti in qualche misterioso cassetto. “Ancora oggi, dopo tanti anni, è difficile trovare documenti su questa vicenda, non è semplice e spesso mi sono scontrato con il segreto di Stato”, conferma l’Autore del volume, che ne ha certosinamente conservati tanti, dopo esserne entrato in possesso come componente della Commissione d’inchiesta sul caso Mitrokhin, ed ha continuato a cercarne anche dopo la sua uscita dal Parlamento.
“In quei tempi – racconta Raisi – spesso i terroristi usavano documenti regolari dei fiancheggiatori per poter girare tranquillamente ed avere maggiore agibilità. Perciò, il professore, noto per la contiguità con ambienti della sinistra eversiva, potrebbe averlo prestato a qualcuno che era in Stazione quando c’è stata l’esplosione e, non sapendo nulla, sia tornato a casa senza denunciarne lo smarrimento. Poi, dieci giorni dopo, quando i Carabinieri lo hanno chiamato per avvisarlo del ritrovamento, ha raccontato una storia molto strana. I sospetti, però, si concretizzarono qualche mese dopo, quando un carabiniere ricevette una telefonata anonima che indicò il professore coinvolto nell’esplosione”.
I documenti raccontano dell’attività investigativa di un Brigadiere della Compagnia di Sorgono che poi, tra ottobre 1980 e marzo 1981, riferisce ai colleghi di Bologna sui dettagli raccontati dall’anonimo che collegano il professore ad ambienti ed episodi dell’ambiente eversivo di sinistra e sui risultati delle sue indagini: “Ma, nel mese di gennaio 1983 – ricorda Raisi – il capitano Pandolfi del Nucleo operativo di Bologna, incaricato di fare da tramite coi colleghi sardi, scrive un rapporto alla Procura bolognese che risulta decisivo per archiviare tutto. Si tratta dello stesso militare che poi raccoglierà la testimonianza di Elio Ciolini, quella che fece partire un grande depistaggio poi smentito da una sentenza di condanna per calunnia. Pandolfi è certamente un uomo chiave della vicenda che ha contribuito ad allontanare i sospetti dalla ‘pista palestinese’”.
Infatti, la versione che Raisi espone nel libro, alternativa a quella processuale che ha condannato tre terroristi ‘neri’ (Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, che hanno sempre negato la loro responsabilità), si poggia sul famigerato “Lodo Moro”, in pieno vigore in quegli anni, come confermò anche l’ex presidente Cossiga: un patto segretissimo tra l’allora democristiano Presidente del Consiglio ed i palestinesi del Fplp per la libera circolazione nel territorio italiano di armi ed esplosivi, in cambio i palestinesi non avrebbero organizzato attentati contro obiettivi italiani. Secondo l’Autore del libro, rotto il patto, per un episodio di qualche mese prima, l’esplosivo in transito a Bologna poteva servire per un attentato da fare a Roma, ma scoppiò per errore nella sala d’aspetto della Stazione. Per fortificare la sua tesi, Raisi cita una lunga lista di depistaggi che sarebbero serviti a coprire il ‘pactum sceleris’. Ed il caso del professore sardo potrà essere aggiunto nella prossima edizione del libro: “Se una persona che è vicina ad ambienti dell’estremismo di sinistra, in collegamento con due compaesani già condannati per possesso di armi ed esplosivo, si ritrova a Bologna il giorno della strage, poi la sua borsa col documento viene trovata tra le macerie dove lui non c’era e i suoi spostamenti in città non hanno riscontri, c’è qualcosa che non funziona. Invece, viene archiviato tutto, abbandonata questa pista. Un po’ strano”.
Ad alimentare i dubbi contribuisce un’altra storia ‘strana’ che Raisi racconta: “Tra i morti nell’esplosione, ho scoperto esserci un giovane legato agli ambienti di Autonomia operaia di Roma, che non si sa perché fosse lì, visto che la sua famiglia lo credeva a Londra. Ma anche in questo caso non sono state fatte adeguate indagini. E soprattutto non convince la storia del riconoscimento, fatto con la sua carta d’identità che non si sa da dove spunti ad una settimana dall’esplosione, visto che non risulta il ritrovamento nelle carte ufficiali. E’ chiaro ed evidente che ogni volta emergevano elementi che portavano alla ‘pista palestinese’ o all’estrema sinistra si sia archiviato tutto. Non accuso alcuno, ma di certo per quanto riguarda sia la vicenda del professore sardo che quella del giovane romano morto nella strage le verifiche sono state quantomeno superficiali e molte cose non tornano.”
Quindi, tra le macerie ci sono almeno due misteriosi protagonisti: un documento di troppo ed un documento che compare all’improvviso, senza che finora nessuno abbia spiegato come siano andate veramente le cose in maniera convincente. Il ‘capitolo sardo’ dell’inchiesta sulla strage di Bologna non si può ancora considerare né chiuso né chiarito.
Fabio Meloni
(admaioramedia.it)
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