L’imminente anniversario della strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980), che causò 85 morti e oltre 200 feriti, rilancia i troppi misteri di una delle pagine più tristi della storia d’Italia, caratterizzata anche da due vicende che ‘profumano’ di Sardegna: il caso di Maria Fresu, vittima ‘senza corpo’ dell’esplosione che fa ipotizzare la presenza di una possibile ottantaseiesima vittima ed intuire uno scenario con depistaggio, e il ritrovamento tra le macerie del passaporto di un professore di Aritzo, Salvatore Muggironi, contiguo all’area della sinistra extraparlamentare, rimasto senza alcuna spiegazione verosimile e caratterizzato da una frettolosa archiviazione.
Di entrambi i ‘misteri sardi’, admaioramedia.it si è occupato negli scorsi anni con approfondimenti e rivelazioni di chi da anni si occupa dell’inchiesta sulla strage, confutando la comoda verità processuale. Torniamo sul tema con un’intervista, in quattro puntate, a Valerio Cutonilli, avvocato romano, autore dei volumi “I segreti di Bologna“, scritto a quattro mani con l’ex giudice Rosario Priore, e “La strage di Bologna tra ricostruzione giudiziaria e verità storica“. (fm)
Facciamo un punto sugli ultimi processi sulla strage di Bologna. Nel 2020 Gilberto Cavallini è stato condannato in primo grado. La Corte d’Assise di Bologna lo ha ritenuto responsabile dell’attentato al pari dei suoi ex sodali dei Nar già condannati in via definitiva: Valerio Giuseppe Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Nel frattempo è stato rinviato a giudizio Paolo Bellini, che secondo l’accusa sarebbe uno degli esecutori materiali della strage. Infine, pende un terzo procedimento penale a carico dei presunti mandanti dell’attentato. Si può trarre un primo bilancio del nuovo corso giudiziario?
«Il messaggio significato dall’autorità giudiziaria bolognese appare chiaro: la ricostruzione giudiziaria dell’esplosione del 2 agosto 1980 non può essere messa in discussione. Va invece ampliata. Non c’è spazio in tribunale per le ipotesi alternative emerse negli ultimi anni. Tale presa di posizione sta generando due reazioni completamente opposte. Da una parte, taluni settori dell’opinione pubblica – sempre meno interessata all’argomento – seguono la strada indicata dai magistrati e riferita dai media più influenti. Dall’altra, il fronte eterogeneo composto da chi, come il sottoscritto, non crede da tempo alla ricostruzione giudiziaria – ricercatori, giornalisti investigativi, parlamentari, avvocati, giudici in pensione – rafforza in misura esponenziale i propri opposti convincimenti».
Perché i nuovi processi in corso dovrebbero aumentare i dubbi?
«Perché i nuovi tasselli che si vorrebbero aggiungere al vecchio impianto accusatorio – la strage sarebbe stata compiuta dai giovani terroristi neri dei Nar – rendono ancora meno credibile il mosaico. Lo complicano anziché semplificarlo. Agli occhi di chi ha gli strumenti per vagliare in modo autonomo le risultanze processuali, più la ricostruzione giudiziaria s’ingrandisce e più si dimostra fragile. Nessuno lo dice, per esempio, ma in oltre 40 anni di processi non è mai emerso alcun rapporto tra i Nar e Bellini. Quest’ultimo vanta indubbiamente un ampio curriculum nella criminalità comune. Ma, all’esatto contrario di quanto accade per Cavallini e sodali, non vi sono tracce convincenti di una sua pregressa militanza politica. Ricordo perfettamente i dettagliati rapporti della polizia giudiziaria sul suo conto, risalenti alla prima istruttoria sulla strage di Bologna. Si evidenziano i rapporti di Bellini con alcuni neofascisti di Massa e poco più. Allegazioni decisamente modeste per descrivere il profilo di un militante politico dedito alle imprese più efferate del terrorismo italiano. Né il quadro può mutare per effetto della confessione dell’omicidio del povero Alceste Campanile, resa completamente indolore dalla intervenuta prescrizione. Peraltro, dall’elenco delle relazioni personali di Bellini è stato espunto curiosamente un noto sacerdote reggiano all’epoca consigliere comunale per il Pci. Frequentazione assolutamente impensabile per uno che, stando all’impianto accusatorio, dovrebbe essere amico dei Nar. Tutto ciò spiega l’assoluta indifferenza dell’estrema destra nei confronti del nuovo imputato per la strage di Bologna. Nel corso dei decenni, il mondo neofascista ha sostenuto pubblicamente l’estraneità all’attentato degli imputati di volta in volta rinviati a giudizio, riconoscendoli ciascuno espressione di tale area politica. Nei riguardi di Bellini, invece, si registra un sentimento marcato di estraneità di cui non è difficile scorgere le ragioni. Nel 2010, in occasione di una celebre audizione in commissione antimafia, il magistrato fiorentino Piero Luigi Vigna dichiarò che Bellini era un informatore dei carabinieri su vicende riguardanti il furto di opere d’arte. Traete voi le conclusioni. Agli occhi di chi ha studiato a fondo l’area ristretta ed eterogenea dell’estrema destra, la veste di militante politico assegnata a Bellini appare come una vistosa forzatura».
Innocente o colpevole?
«In attesa di conoscere le carte in mano alla difesa, non so dire se Bellini fosse o meno a Bologna il 2 agosto 1980. Certo è che un suo eventuale e a oggi non provato ruolo (di terrorista trasportatore? Di osservatore per conto di qualche istituzione?) nel rovinoso transito in stazione della valigia con l’esplosivo, non si concilierebbe affatto con un coinvolgimento dei Nar. Questo è il punto. Non si può liquidare la questione cruciale dell’assenza di rapporti tra i Nar e Bellini asserendo una comune e assai generica appartenenza alla medesima area dell’estrema destra, certamente reale per i primi e alquanto discutibile per il secondo. “Sempre fascisti sono” è un ragionamento primitivo che ci si può attendere da qualche antagonista che urla alle manifestazioni dei ‘no global’. In tribunale, all’esatto contrario, è lecito pretendere che un ipotetico rapporto tra Bellini e Nar, a mio avviso del tutto inesistente, sia debitamente provato».
Gli inquirenti bolognesi, però, sembrano attribuire particolare importanza agli esiti scaturiti dall’indagine sui mandanti dell’attentato alla stazione di Bologna.
«Considerato che le persone indicate come mandanti sono quasi tutte morte da tempo, mi sembra decisamente improbabile che in tal caso si possa pervenire a una sentenza definitiva. Tra i pochi superstiti figura un anziano signore a cui sono formulate contestazioni, tutte da verificare, in realtà molto meno gravi rispetto a quelle mosse ai famigerati mandanti, tutti ormai rigorosamente trapassati. Si tratta di Domenico Catracchia che in passato sarebbe stato amministratore condominiale di uno stabile di via Gradoli. La strada romana dove, secondo una nuova prospettazione, un superpotere occulto in qualche modo riferibile al Sisde avrebbe fornito ospitalità sia alle Br che ai Nar. Fermo il massimo rispetto per gli inquirenti, mi sembra ovvio che uno scenario simile allontani l’interesse di chi non è disposto a scadere nel complottismo da social. Difficile convincere quanti il terrorismo lo hanno studiato a lungo, negli archivi storici dei tribunali, con la storia di Nar e Br al servizio dello stesso padrone».
Però, si parla di un movimento di denaro enorme quale ricompensa di Licio Gelli ai Nar per il compimento della strage di Bologna.
«Ragioniamo sulla ipotesi formulata dagli inquirenti. Il potere occulto che avrebbe ideato la strage – un cocktail di loggia P2, neofascisti e ambienti più o meno americani, tutti alleati evidentemente per impedire l’avanzata democratica del Pci – avrebbe ricompensato gli esecutori dei Nar con fiumi di denaro. A dimostrarlo ci sarebbe non la consueta documentazione tracciabile – che da modesto avvocato in genere riesco a trovare anche in misere vicende da processo civile, quando gli importi raggiungono dimensioni di una certa rilevanza – ma un semplice appunto scritto a mano. E tutto quel denaro dove sarebbe finito? Sì, perché l’ipotesi dei Nar miliardari deve fare i conti con le decine di processi celebrati a carico di Cavallini e sodali, nei tribunali di mezza Italia. Da Roma a Milano, passando per Padova. Il ‘miliardario’ Ciavardini fu arrestato nella capitale nell’ottobre 1980, dopo aver condotto una breve militanza da vagabondo, quasi da barbone. Il ‘miliardario’ Fioravanti venne catturato in Veneto nel 1981, in seguito a una sparatoria innescata dal suo tentativo necessitato di recuperare armi in un fiume. Il turno della ‘miliardaria’ Mambro fu a Roma nel 1982, mentre cercava di reperire soldi rapinando una banca. I miliardari sarebbero questi? Chi conosce gli atti dei numerosi processi ai Nar, sparsi per il paese, sa bene che di denaro nelle mani dei Nar ne è circolato poco. Per questo motivo, non crederà mai alla storia dei Nar divenuti miliardari grazie alla strage. E a dire il vero non sembra crederci neppure la Procura di Bologna».
In effetti, le divergenze emerse negli uffici giudiziari bolognesi fanno discutere.
«Per rendersene conto, basta leggere l’appello interposto dalla Procura avverso la sentenza di condanna a Cavallini. La distanza dall’impostazione della Procura Generale, che nel frattempo aveva avocato l’indagine sui mandanti, è siderale. La Procura infatti riconosce la natura spontaneista, avulsa da qualsiasi etero direzione, dei Nar. Ciò nonostante, ritiene Cavallini e sodali responsabili di un attentato, ideato e compiuto non per conto terzi ma solo per raggiungere gli scopi eversivi della propria organizzazione. La Corte d’Assise aveva contestato tale giudizio sui Nar, fornendo nella sentenza di condanna una ricostruzione dei fatti che sembra incastrarsi invece con quella propugnata dalla Procura Generale nel procedimento penale sui mandanti. Secondo la Corte d’Assise, appare irrealistico ridurre un evento come la strage di Bologna alla sola azione di un gruppo di giovani terroristi come i Nar. Tale divergenza di vedute ha generato una polemica che non è sfuggita ai media. Cavallini, infatti, è stato condannato per il reato di cui all’articolo 422 Cp (strage “comune”) e non per quello richiesto dell’articolo 285 Cp (strage “politica”). Ciò in quanto, a giudizio della Corte d’Assise, la natura spontaneista dei Nar indicata nell’imputazione formulata dai Pm sarebbe ostativa all’emissione di una sentenza di condanna per la strage con finalità eversive. La Procura ha appellato la sentenza contestando tale motivazione. Sia perché nulla avrebbe impedito alla Corte di applicare l’articolo 285 Cp, rientrando ciò nei suoi poteri di giudicante, sia perché l’assenza di una eterodirezione non impedisce di attribuire a un’azione terroristica dei Nar, sodalizio di natura politica, intrinseche finalità eversive, tali quindi da consentire la sussunzione della strage di Bologna alla fattispecie dell’articolo 285 Cp. L’antitesi tra le due posizioni appare insanabile. A meno che…».
A meno che?
«A meno che non si opti per una terza posizione, l’unica che può dirimere il contrasto insorto tra Procura e Procura Generale/Corte d’Assise. I Nar furono una organizzazione terroristica priva di eterodirezioni, estranea alla esplosione di Bologna. Ciò si concilierebbe sia con l’impostazione della Procura, tesa a riconoscere la natura spontaneista di Cavallini e sodali, sia con l’impostazione della Procura Generale/Corte d’Assise, volta a collocare l’esplosione in un contesto molto più complesso di quello riconducibile a un gruppo di giovani terroristi privo di reale progettualità. Ma questa chiave di lettura continua a essere scartata sia dall’una sia dall’altra. L’estraneità dei Nar all’esplosione del 2 agosto 1980, a mio parere sempre più evidente, costituisce una eventualità non contemplata dall’autorità giudiziaria».
Dunque, il fronte dei critici delle sentenze bolognesi dovrà rassegnarsi?
«No, anzi. Dovrebbe iniziare a capire che la verità sull’esplosione di Bologna potrà essere trovata più rapidamente fuori dalle aule di giustizia. In ossequio ai principi fondamentali del nostro Ordinamento, va preso atto che quella scaturente dai processi non è una verità metafisica. Ma solo quel particolare accertamento dei fatti a cui si perviene attraverso l’applicazione delle specifiche norme dei codici penale e di procedura penale. Faccio un esempio. Nel processo i difensori di Cavallini chiedono l’acquisizione della documentazione – a distanza di 41 anni ancora secretata, guarda caso – del centro-Sismi di Beirut del 1980. L’obiettivo è provare che fosse l’Ori, il gruppo terroristico internazionale guidato all’epoca da Carlos lo Sciacallo, il gruppo cui apparteneva la valigia con l’esplosivo transitata rovinosamente nella stazione di Bologna. In un processo per strage il segreto non è opponibile. Ma in ogni caso la Corte d’Assise ha facoltà di accogliere o respingere l’istanza istruttoria. La Corte appunto la respinge. E quindi nel processo non si può fare altro che continuare a parlare del detenuto comune ma con aspirazioni politiche Vettore Presilio, del ladro recidivo ma con aspirazioni ideologiche e tumore a scomparsa Massimo Sparti, dello scaltro travestimento tirolese di Fioravanti (abbinato alla patente di guida di un tizio nato nel profondo Salento) e poi dell’appunto a mano ma miliardario di Licio Gelli etc. E le prove che il Sismi, prima dell’esplosione, avvisò il governo italiano che all’Ori era stato appena commissionato un attentato ritorsivo contro l’Italia da compiersi senza rivendicazione? Non ci sono… O meglio, non hanno e non faranno mai ingresso, temo, in tribunale. Ma negli archivi di Stato che, proprio sul punto in questione, restano stranamente secretati ancora oggi, ci sono o no questi documenti?».
Fabio Meloni
(1ª puntata – La 2ª puntata, “Lo scenario internazionale e il ‘lodo Moro’ sullo sfondo dell’esplosione alla Stazione” è stata pubblicata il 31 luglio 2021)
(admaioramedia.it)