Per gli uomini, autori di maltrattamenti fisici e\o psicologici, economici, sessuali e di stalking, che decidono di intraprendere un percorso di cambiamento, di assumersi la propria responsabilità per il loro comportamento ha assunto particolare importanza la collaborazione tra l’Ufficio di Esecuzione penale esterna del Dipartimento della Giustizia minorile e di Comunità del Ministero della Giustizia ed il Cam (Centro di ascolto uomini maltrattanti). E’ stato evidenziato durante un seminario, svoltosi ad Oristano, che ha visto la partecipazione dei servizi che fanno parte del Plus (Piani locali unitari dei servizi alla persona) oristanese,
“Riconoscimento che arriva dopo anni di duro lavoro nei quali abbiamo dovuto lottare contro i pregiudizi di chi non recepiva il nostro centro come un importante strumento di prevenzione contro la violenza di genere – ha sottolineato Nicoletta Malesa, presidente e coordinatrice dei Cam Sardegna – La collaborazione in rete è fondamentale perché credo fortemente nel confronto e nella sinergia nel lavorare insieme di associazioni, istituzioni e professionisti per raggiungere importanti obbiettivi finalizzati a prevenire e contrastare la violenza di genere”.
Il femminicidio rappresenta la punta di un iceberg, perciò è necessario considerare tutte le forme di violenza di genere, affrontate sotto i profili sociali, culturali ed educativi: “Seppure la battaglia sul piano politico e legislativo sia fondamentale – ha aggiunto – Rivestono particolare importanza anche azioni educative, come, per esempio, una lezione di educazione alla legalità che ho recentemente tenuto in una scuola. Gli allievi hanno mostrato interesse per le tematiche trattate: l’uso dei social e del linguaggio sbagliato che può generare un effetto opposto e rafforzare stereotipi e pregiudizi creando un maggiore dolore nelle vittime. Ricordando come ci siano espressioni assolutamente da evitare e da bandire. ‘amore malato’, ‘raptus’, ‘lei lo tradiva’, ‘se l’è cercata’, ‘perché lei lo ha lasciato’, ‘era un bravo ragazzo’, ‘era un padre buono’, ‘follia’, oppure informazioni su come lei fosse vestita, particolari raccapriccianti e indicazioni precise sul tipo di ferite riportate dalla vittima. L’educazione ad un linguaggio consono e non offensivo verso le vittime richiede anche una sensibilizzazione della scuola e della famiglia, le principali agenzie educative”.
Claudia Pilloni
(sardegna.admaioramedia.it)