Caro direttore, sollecitato dall’appello-ringraziamento del Giardiniere (pubblicato lo scorso 20 marzo), vorrei proporre alcune considerazioni sulla puntata di “Meraviglie”, il programma di Alberto Angela sulla ‘prima serata’ di Rai 1.
Premetto che Angela, ‘il giovane’, ha sbancato l’Auditel tra le 21 e le 22, con un 19,3% di share, pari a circa 4 milioni e mezzo di telespettatori inchiodati dalle sua (e nostra) meraviglia per le cose meravigliose che tutto il mondo invidia all’Italia. Quindi, mi chiedo quanto valga lo ‘spot pubblicitario’ di 12-15 minuti che, in quell’orario, è stato offerto gratuitamente alla Regione sarda. La domanda è retorica; la risposta anche: centinaia di migliaia di euro. Ma quello spot è senza prezzo, perché è stato anche un inno d’amore alla nostra terra e l’amore, di per se gratuito, ha valore infinito. Resto, perciò, sconcertato dai commenti che mi è stato dato di leggere sui ‘social’, divisi fra chi si è sbracciato a lodare Angela per essere un grande “divulgatore scientifico” (come suo padre, Piero, del quale Alberto ha perfezionato lo ‘stile comunicativo’) e chi gli ha riservato critiche insensate (“Sembra che abbia scoperto solo oggi l’esistenza dei nuraghi in Sardegna”) o alimentate dall’invidia (“Lui non è un archeologo”; “Parla di cose che non conosce”;“ Sarebbe stato meglio interpellare gli studiosi sardi ai quali si devono le attuali conoscenze della civiltà nuragica”) senza neppure intuire che fare televisione come lo fa lui è un arte difficile. Una cosa, è però certa: il servizio dedicato in questa puntata al Nuraghe di Barumini, alle Domus de Janas di Bonorva-Sant’Andrea Priu, ai ruderi della punica Tharros ed ai Giganti di Monti Prama, per noi, Regione sarda e cittadini sardi, è stato un affare, dal quale, per giunta, anche chi conosce appena superficialmente la Sardegna, ha tratto godimento, assaporando la qualità della narrazione e constatando quanto sia bella e misteriosa la nostra terra.
Di Alberto Angela mi è piaciuta l‘attenta e precisa ricostruzione delle vicende storiche (dal Neolitico all’Età del bronzo) del complesso nuragico di Barumini, a partire dai primi scavi del professor Giovanni Lilliu, che lo scoprì, per giungere agli scavi più recenti che hanno evidenziato la formazione di un villaggio con decine di ‘pinnetas’, per ospitare fino a 700 persone, ai piedi di una imponente fortificazione a quattro torri laterali che, come in un castello medioevale, hanno finito per inglobare un edificio di forma conica realizzato, originariamente, intorno ad un probabile ‘pozzo sacro’, la cui acqua sorgiva si intravvede ancora oggi a 18 metri di profondità. Nel suo racconto, Angela ha innestato due pietre preziose: la testimonianza di Dori Ghezzi, la compagna di una vita di Fabrizio De André, che ci ha offerto una vera e propria dichiarazione d’amore per la Sardegna, e due brevi ‘a solo’ del musicista jazz Paolo Fresu, che, suonando fra le case e dentro il nuraghe di Barumini ne ha ingentilito i massi con l’eco melodico della sua tromba. Fresu è stato una pennellata di colore, intenso e struggente; ma la testimonianza di Dori Ghezzi è stata sorprendente, per chi, cronista come me in quegli anni lontani, ne ricorda l’antefatto. Mi riferisco ai 117 giorni di prigionia, che lei trascorse da sequestrata nelle montagne fra Buddusò, Pattada ed Orune, insieme al suo compagno. Accadde dal 27 agosto al 20 dicembre del ’79. Fabrizio e Dori furono catturati da tre banditi mascherati sul finire di una sera a l’Agnata, un vecchio stazzo gallurese trasformato in casa padronale al centro di una tenuta agricola da 151 ettari, alle pendici del Limbara acquistata dalla coppia dieci anni prima con tutti i loro risparmi. Dori Ghezzi ci vive tutt’ora. Ed è lì che Angela è andato a cercarla sapendo di incontrare la testimonial di una Sardegna, che non è solo mare e vento, luce abbagliante e solitudine. Tutto questo la Ghezzi lo ha sintetizzato in poche frasi, descrivendo l’isola come “una grande ammaliatrice che non finisci mai di conoscere perché è un po’ sfuggente, ma nello stesso tempo è materna, ti accoglie, come lo sono anche i sardi, a volte percepiti come diffidenti; non è vero niente, se ti diventano amici sono gli amici più cari che puoi avere al mondo”.
Una testimonianza d’amore, connessa alla rievocazione di una sensazione collocata, apparentemente, nel tempo in cui lei e Fabrizio arrivarono in Sardegna, ma forse risalente ad uno dei momenti più difficili vissuti nell’Isola: la percezione persistente ed esatta, anche a 50 anni di distanza, di un profumo particolare, pungente e suadente come quello de Sa Murredda:“Credo che in italiano si chiami Elicriso potrei sbagliarmi – ha spiegato – ma murredda è il nome con cui noi lo conosciamo e dico noi perché ormai mi ritengo sarda”. E’ un cespuglietto piccolo con dei fiori gialli e meravigliosi, il cui profumo è la prima cosa che ti arriva quando sbarchi in Sardegna – “un profumo particolarissimo che ti può arrivare anche bendato” – è il particolare che, nel ricordo della Ghezzi riporta, quasi inconsciamente, ai giorni in cui fu più acuta la percezione di quel profumo, i giorni trascorsi con i banditi che trasferivano lei e De André da una parte all’altra fra il Limbara, il Monte Albo ed il Monte Lerno: “Voglio dire che non sai se sei su un volo come non sai dove ti portano… tu scendi e sai di essere in Sardegna”, uno dei pochi posti al mondo dove trovi ancora zone incontaminate.
Non male, come dichiarazione d’amore. E non male come messaggio pubblicitario rivolto ai tanti che sono attratti dalla Sardegna come terra incontaminata e splendidamente selvaggia, in cui è possibile godere ancora di silenzio e solitudine. Ma in Sardegna, ed Angela ne ha dato dimostrazione, c’è anche altro; non solo il mare o il rumore dei campanacci al collo delle pecore. Ci sono infatti paesaggi lunari, splendide foreste, spiagge d’incanto, e testimonianze di una storia intensa ma poco nota; autentici tesori archeologici nascosti, che meriterebbero, invece, di essere valorizzati, tutelati, gestiti ed esibiti orgogliosamente a tutti, Sardi compresi. Meraviglie che possono stupire e sorprendere come i Giganti di Monti Prama, che affondano misteriosi la loro origine fino a 2700 anni fa, la sorprendente varietà di storie, colori e pitture che, sulle pareti delle Domus de Janas di S.Andrea Priu, testimoniano la successione millenaria dei secoli, di genti neolitiche, popolazioni nuragiche, mercanti fenici, comunità cristiane e perfino la presenza di una chiesa bizantina, che hanno lasciato traccia del loro passaggio in quelle grotte scavate nella pietra per dare sepoltura a genti neolitiche ed utilizzate come tombe perfino dai romani.
Plaudo anch’io, quindi, all’appello del Giardiniere, auspicando che la nuova Giunta regionale dedichi più attenzione e risorse finanziarie alla valorizzazione turistico-economica delle centinaia di siti archeologici già noti e delle testimonianze non ancora indagate a sufficienza. Grazie alla varietà sorprendente di genti e civiltà che hanno fatto la storia della Sardegna, questo patrimonio in gran parte inesplorato potrebbe infatti rivelarsi un’autentica miniera d’oro per lo sviluppo economico di questa nostra Isola benedetta. Dopotutto, come scrisse un grande archeologo sardo, quell’Ercole Contu citato a conclusione del servizio di “Meraviglie”, essa è “Un’isola antica quanto altre mai, ed aspra… e bella da morire…”.
Gianni De Magistris
(sardegna.admaioramedia.it)