Le criticità isolane tra folk e produzione di genere, che provengono da lontano e nel nome della contemporaneità andrebbero tutelate sono quella dei murales e della pittura parietale, ma anche quella della scultura lapidea. Sono linguaggi che nell’isola provengono da lontano e attraverso i quali andrebbe costruito un dialogo con il passato e la tradizione in nome del contemporaneo, questo non lo si è saputo costruire nel tempo.
L’auspicata Accademia di Belle Arti di Cagliari andrebbe impostata proprio su questi due filoni, quello della scultura e del muralismo pittorico in chiave analitica del contemporaneo. Perché quest’isola abbonda di scultori in tutte le sue comunità, che sovente ritrovano il proprio lavoro in una rotonda o relegato a un frammento senza storia da consegnare all’archeologia più che al contemporaneo. Perché l’arte del murales era avanguardia politica italiana ed europea, oggi è espressione di folk e scene di genere in macroscala che lasciano il tempo che trovano e che sono esercizi di stile che nulla o poco hanno a che vedere con le problematiche politiche, sociali ed economiche che l’isola affronta in questo secolo.
La questione nodale è quella della scolarizzazione della comunità isolana, bisognerà anche ragionare nei termini che dopo il boom economico che ha materializzato anche il Liceo Artistico e interessanti connessioni e relazioni tra artisti, storicamente si è davanti a un fallimento per il quale si è tutto consegnato al mercato. L’Accademia di Sassari non ha mai decollato ed emula percorsi di formazione che poco hanno a che vedere con il reale stato dell’arte isolano, appare più preoccupata di dinamiche di formazione professionale, che non a determinare ricerche funzionali al centro nord dell’isola, che dovrebbe coprire come istituzione con progetti e dialoghi con gli artisti che vivono culturalmente la comunità e anche i diversi profili di studenti in uscenti. Cagliari priva di un’istituzione d’alta formazione artistica non ha mai potuto narrare la storia di quanto avveniva negli anni Sessanta a giovani studenti in formazione.
Dove porta questo ragionamento? A constatare che anche Manu Invisible l’espressione del murales politico con contaminazioni varie, più alta che l’isola tutta abbia mai avuto in questo secolo, quando è chiamato a fare dei lavori istituzionali che si rivolgano direttamente alla comunità, nel nome di un mercato politico fatto di elettori tra i più anziani del mondo, faccia lavori di ‘genere’ che poco hanno a che vedere con la sua competenza e il suo talento. Ma questo accade perché non c’è una scuola basata sul confronto generazionale, tutti gli street e public artisti cagliaritani si muovono su traiettorie individuali e punti di riferimento formativi e della memoria casuali e sconnessi.
Quello che d’interessante è avvenuto nel sud dell’isola, intorno agli anni Sessanta, è stato determinato da un’intera generazione di giovani artisti, invecchiati (e qualcuno morto) sul posto, senza potere fare storia e scuola. Non si è riusciti a vedere il futuro, al punto che qualche memoria storica cagliaritana, racconta, tra il pettegolezzo e il mormorio (perché a Cagliari un dibattito pubblico sull’arte come bene comune non c’è mai stato), che lo stesso Foiso Fois, allora dirigente del Liceo, per questioni di spazio si oppose alla nascita di un’Accademia a Cagliari, assumendosi di fatto una responsabilità storica, che ha scritto un percorso d’immaturità materializzatosi nell’attuale scenario cagliaritano.
Domenico Di Caterino
(admaioramedia.it)