Parafrasando la vecchia frase di Stalin riferita al Papa ci si potrebbe chiedere quante ‘divisioni’ ha Maninchedda. Domanda legittima dopo che il leader del Partito dei Sardi ha lanciato la sua proposta di “primarie sarde” (purché abbastanza laiche e di sinistra, è sembrato di capire) per un candidato governatore finalmente scelto davvero dal basso e, come ama dire, fuori dalle logiche dei “partiti italiani”.
Proposta respinta al mittente, anche con qualche ‘carico’, proprio da esponenti di quel mondo nazionalitario ed indipendentista che doveva essere il naturale interlocutore del messaggio. Scontato anche il no dei Cinquestelle, che si proclamano come sempre autosufficienti, e del centro destra, nonostante qualche debole distinguo. Poi c’è il Partito democratico, ripetutamente preso a calci nelle parti basse da Maninchedda per farsi un po’ di lifting, che potrebbe anche scoprirsi non immune dalla ‘sindrome di Stoccolma’ o auto curarsi con una terapia d’urto se davvero Massimo Zedda scendesse in campo.
E’ vero che anche le vie delle elezioni sono infinite, ma oggettivamente il progetto del leader del Pds rischia di diventare abbastanza diverso da quello immaginato circa un anno fa, fondato addirittura su una “Costituzione sarda” che si spingeva fino a riforme epocali in materia di giustizia, economia, forma di governo (con 80 consiglieri regionali) e ridefinizioni delle competenze fra Stato, Regione e Comuni, il tutto da sottoporre a referendum.
La politica conosce ragioni che la ragione non conosce, diceva qualcuno. Frase buona per spruzzare di nobiltà il politichese o stimolare qualche autorevole commentatore, indubbiamente meno buona per una Sardegna che continua a soffrire parecchio e, sotto molti punti di vista, si è rotta le scatole.
SardoSono
(admaioramedia.it)