Alla classica bipartizione fra ora solare e ora legale, finita perfino all’attenzione dell’Unione europea con una strampalata proposta di modifica, bisogna aggiungere per la Sardegna di queste settimane quella di ‘ora elettorale’. Una specie di incrocio magico fra una congiunzione astrale che si verifica ogni millennio ed un triangolo delle Bermude dove gli affondamenti misteriosi vengono sostituiti da straordinarie emersioni in superficie.
A cavallo fra mito e realtà, ma con tutta la fascinazione del mito, si assiste ad uno squadernare di provvedimenti del governo regionale di Pigliaru (meno del Consiglio, investito in pieno dalla ‘macchina del fango’ che è riuscito ad auto-produrre, come si è visto con la legge sulle Province) che spaziano in tutti i settori della società sarda: dalla terra per i giovani ai fondi per le imprese che acquistano auto elettriche, dalle stabilizzazioni dei precari finora nascosti nei tanti meandri del sistema Regione fino ad una vera e propria onda felicemente anomala di lavoro. Lavoro (pubblico) per tanti e quasi per tutti, nella declinazione mediaticamente attuale di un famoso slogan degli anni ’70: “Nella Sardegna della Rinascita c’è un posto anche per te”, poi sappiamo com’è andata e che, oltre ai posti, c’erano sprechi spaventosi e disastri ambientali immani.
L’ora elettorale mostra comunque ai sardi la sua geometrica potenza, a costo di esporsi a qualche rilievo in materia di ‘par condicio’, legge immaginata a suo tempo per sterilizzare quel tipaccio di Berlusconi e che ora, in una sorta di contrappasso storico, finisce per colpire i suoi avversari più irriducibili. L’antica massima romana del “dura lex sed lex” ha già stoppato una campagna mediatica (robustamente finanziata) che lanciava la legislatura appena conclusa nell’olimpo dell’immortalità autonomistica. E forse è solo il primo passo del ritorno dell’ora elettorale all’ora legale.
SardoSono
(admaioramedia.it)