La sera del 30 agosto 1947, nella piazza adiacente la chiesa di San Nicolò a Guspini, il professor Antonio Murgia, libero docente della Facoltà di Medicina, nonché direttore dei laboratori di igiene e profilassi della provincia di Cagliari, si attardava a chiacchierare col medico condotto del paese Giovanni Camoglio e col geometra Silvio Saba. All’improvviso, verso le 21,15, una mano ignota staccò la corrente che alimentava l’illuminazione della piazza e, in contemporanea, uno sconosciuto lanciava un potente ordigno esplosivo (una bomba a mano offensiva “Breda”) contro i tre. Per Murgia non ci fu nulla da fare: morì all’istante dilaniato dall’esplosione, Camoglio rimase accecato a un occhio, mentre Saba riportò ferite di minore entità.
Per caso assistette alla scena il carabiniere Francesco Spanu che inseguì l’attentatore, sparando e riuscendo anche a ferirlo, costui comunque lanciò una seconda bomba a mano, ferendo il carabiniere e, in maniera lieve, una bambina di otto anni e un anziano. Il delitto era di chiara matrice politica, avendo per oggetto il medico Antonio Murgia, figura di grande prestigio nel circondario di Guspini. Valoroso ufficiale della Brigata Sassari, grande invalido di guerra e pluridecorato, fu fondatore e massimo esponente del Partito sardo d’azione nel centro minerario. Aderì al fascismo nel 1923, ufficiale della Milizia, ricoprì incarichi politici nel partito e nella pubblica amministrazione. Caduto il fascismo, fu sospeso dall’incarico e privato dello stipendio di direttore sanitario dei laboratori di igiene e profilassi della provincia di Cagliari con l’accusa di aver avuto tale incarico per meriti politici. Assolto, fu reintegrato in servizio.
Le indagini sull’omicidio inizialmente brancolarono nel buio: il delitto sembrava irrisolvibile. Nessuno aveva visto l’attentatore. Uno dei tanti delitti politici irrisolvibili che ancora nel 1947 insanguinavano le contrade italiane. Sennonché i comunisti nel tentativo di sviare le indagini, commisero errori madornali. Il sindaco comunista Eugenio Saba arrivò in piazza un’ora e mezzo dopo l’attentato («pallido, sconvolto e costernato», raccontano le cronache) ed avvicinò il maresciallo dei carabinieri Lecis, facendo il nome del presunto assassino: un certo Luigi Tuveri. Il giorno successivo al delitto, domenica 31 agosto, il Sindaco, accompagnato dal senatore Velio Spano e dal dirigente del Pci, Giovanni Lay, si presentò in caserma, chiedendo di parlare col commissario Savastano: Tuveri venne indicato come autore del delitto perché conservava rancore nei confronti dell’ucciso per un appalto di ghiaia che non era riuscito ad ottenere. L’indomani, venne arrestato.
I comunisti, però, ignoravano chi fosse Savastano, piombato a Guspini da Iglesias per prendere in mano le indagini su mandato della Questura di Cagliari. Il Commissario vantava un brillante curriculum per aver operato sino al 25 luglio 1943, in veste di commissario dell’Ovra (la polizia segreta fascista) a Cagliari e si era reso famoso come abilissimo, ma ‘rude’ investigatore. Epurato, fu poi riammesso in Polizia a seguito dell’amnistia Togliatti del 1946. Intanto, nel cimitero di Guspini (nell’arco di ingresso campeggiava la scritta “fascisti prenotatevi”) venne tumulata la salma del professor Murgia e giunse ai famigliari un telegramma dell’onorevole Emilio Lussu: “Rientrato in città apprendo solo ora tragica fine di Antonio Murgia, prego gradire espressione mio grande cordoglio per ingiusta fine, onesto cittadino, valoroso combattente”. Nei giorni successivi, inaspettatamente, il maresciallo Lecis arrestò il vero attentatore, che, alla vista dei carabinieri, benché ferito ad una gamba, cercò di fuggire ma venne rincorso e bloccato. Si tratta di Virgilio Mannai, operaio di 34 anni, capo cellula del Pci ed ex camicia nera della Milizia antiaerea. Debitamente ‘torchiato’ dal commissario Savastano, confessò le proprie responsabilità, facendo il nome dei mandanti: il sindaco Saba, l’assessore Giulio Fanari e il dirigente del Pci Luigi Sanna.
L’8 settembre, mentre Tuveri viene scarcerato, ci fu l’arresto dei tre esponenti del Pci per concorso in reato di strage. Per avere un’idea del clima che si respirava nella cittadina mineraria in quegli anni, ecco un resoconto, dal titolo “Il movente politico del delitto di Guspini – Il sindaco e un assessore sono stati tratti in arresto”, pubblicato sul quotidiano “L’Unione Sarda” del 9 settembre 1947: «Per la prima volta a Guspini la giustizia colpiva: a testa bassa, ammanettati passavano i turbolenti protagonisti di due anni di disordini, di agitazioni, di violenze. Quelle stradette deserte avevano conosciuto l’urlo feroce delle dimostrazioni di piazza, il rombo della dinamite a notte alta, le vittime designate inseguite e percosse a sangue, i giovani dell’Azione Cattolica malmenati, le maestre insultate e svillaneggiate perché non avevano permesso che a scuola i bimbi cantassero gli inni comunisti. Dietro quelle imposte si erano compilati gli elenchi delle vittime da eliminare». Il processo si tenne ad ottobre 1949, presso la Corte d’Assise di Cagliari, e chi diede il colpo di grazia al sindaco Saba, rappresentato dalla difesa come un bonaccione e un moderato, fu il futuro biografo di Gramsci, Berlinguer, Lussu e dell’anarchico Schirru, nonché senatore comunista, il giornalista e scrittore Giuseppe (Peppino) Fiori, che il 5 ottobre scrisse su “L’Unione Sarda” un articolo: “Un documento in possesso del nostro giornale. La strage di Guspini alle Assise di Cagliari”. Si trattava di una lettera di Saba, datata 24 marzo 1945, scritta su carta intestata del Pci e indirizzata al segretario comunista di Iglesias: “Caro compagno, mi è stato riferito che in codesta città risiede attualmente il segretario comunale Ghiani Antonio, ex squadrista antemarcia, sciarpa littorio. Questo losco individuo ha molti peccati sulla coscienza: a lui sono dovuti i numerosi arresti, persecuzioni, confino di molti compagni. Fra i quali il sottoscritto. Ti prego di sorvegliarlo attentamente e se si presenta l’occasione propizia di sistemarlo come merita. Saluti fraterni. Il segr. E. Saba”. La lettera fu immediatamente richiesta dal Tribunale e messa agli atti del processo.
Il 13 ottobre, la Corte condannò Mannai, Saba e Fanari all’ergastolo, pena commutata in trent’anni per effetto del decreto sull’amnistia per reati politici del 9 febbraio 1948. Il Pci, comunque, non la prese bene: il 16 ottobre, nel corso di un comizio nella piazza di Carbonia, l’onorevole Dessanay arringò la folla asserendo che la condanna del sindaco di Guspini fosse frutto di una macchinazione del Governo e della Polizia. Mal gliene incorse. Il commissario della Polizia stradale di Carbonia sciolse d’autorità il comizio. Il commissario era Giovanni Pirrone, ex questore di Sondrio, comandante di una Brigata nera durante la Rsi, condannato a trent’anni per ‘collaborazionismo’, poi assolto, riammesso in servizio e spedito a Carbonia. Così andavano le cose nei primi anni della Repubblica italiana, nata dalla resistenza.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)
6 Comments
Rossano Morra Sperlari
Zia Anna
Zia Anna
Una storia che conosciamo molto bene, purtroppo…
Jadranka Lara Saba
Io sono nipote di Eugenio Saba, una persona Umana, splendida, dolce e cortese con tutti, sempre pronto ad aiutare il prossimo.
Ancora si riportano queste notizie false e ingiuste? Perché non viene riportata la Verità??? Ossia che a mio nonno, in carcere gli avevano commissionato il ruolo di contabile, tanto era stimato e ben voluto, ed è stato scarcerato e riconosciuto INNOCENTE dopo 13 anni di galera, lasciando la moglie incinta (in attesa di mio padre) all’epoca in cui è stato arrestato!
Lui non aveva nulla a che fare con quell’attentato!
E continuare a puntare il dito su persone oneste che hanno già pagato sin troppo ingiustamente è un reato ignobile!
Il “signor” Abis, dovrebbe fare uno studio più accurato delle notizie, anziché continuare ad infangare la memoria di persone oneste e innocenti che magari non ha neanche mai conosciuto di persona!
Sono profondamente indignata, va bene la libertà di stampa purché le notizie vengano riportate usando il cervello e il buon senso!
Angelo Abis
Egregia signora Saba,
capisco la difesa che lei fa di suo nonno, presentandola come persona ottima, ma questo non ha niente a che vedere con i fatti (e non notizie false e ingiuste) da me esaminati in relazione all’omicidio politico del dottor Antonello Murgia.
Fatti descritti nei rapporti del Prefetto di Cagliari, negli atti processuali del Tribunale di Cagliari e nelle ampie e dettagliate cronache dell’Unione Sarda e della Nuova Sardegna del periodo. Il fatto è che suo nonno dopo tre gradi di giudizio della magistratura fu condannato all’ergastolo in quanto mandante dell’assassino di Antonello Murgia.
Io come storico ho esposto dei fatti, dando anche delle spiegazioni sulle motivazioni che possono aver determinato tali fatti, ma non ho fatto nessuna valutazione di carattere etico o morale o politico su suo nonno, perché questo non è compito dello storico. Quindi non ho puntato il dito contro nessuno, ma anche se l’avessi fatto avrei compiuto un reato meno ignobile di quello di aver fatto assassinare uno come Antonello Murgia definito da Emilio Lussu: “Onesto cittadino, valoroso combattente”.
Lei afferma, poi, che suo nonno è stato scarcerato dopo tredici anni perché riconosciuto innocente. A me non risulta. Se non altro perché per annullare una sentenza definitiva occorre fare un nuovo processo che ribalti il responso dei giudici della Corte d’assise.
Sa darmi, eventualmente, qualche notizia precisa in proposito? O ha copia della sentenza dove viene riconosciuta l’innocenza di suo nonno? Dia retta a me. Se vuole veramente dare un segno diverso dell’immagine di suo nonno, lasci stare l’incarico di contabile e la “stima in carcere”, che fanno ridere, e provi a raccontare lei cosa veramente accadde e fu fatto accadere nella piazza di Guspini quella tragica notte del 30 agosto 1947.
Angelo Abis
Jadranka Lara Saba
Ciò che fa veramente ridere, anzi per l’esattezza pena, è oltre al suo articolo il suo commento in risposta al mio.
Innanzitutto, nessuno ha da ridire sul fatto che il dott. Murgia fosse una onesta e brava persona, ma questo non ha nulla a che vedere sull’ipotesi della colpevolezza di mio nonno nel reato commesso.
In secondo luogo, se fosse davvero uno storico, non si sarebbe dovuto limitare a fare copia e incolla dagli articoli dei giornali dell’epoca, ma si sarebbe dovuto documentare sull’intera vicenda, raccogliendo testimonianze da persone di diverso orientamento politico e ottenendo dal tribunale tutti gli atti (visto che sono pubblici) che riguardano questa triste vicenda dall’inizio sino alla fine, non riportando solo i fatti iniziali e considerando solo una versione, altrimenti quello che ha riportato non ha nulla di diverso dalle chiacchiere di condominio.
In ogni caso, ci sono molte persone, che a differenza di Lei, hanno realmente e profondamente conosciuto e stimato la persona di Eugenio Saba, per cui siamo sereni così, nonostante, a distanza di tutti questi anni, c’è ancora qualche individuo che, non avendo null’altro da fare si diverte a giocare sui sentimenti e sulla memoria delle persone.
Rispetterò il volere di mio padre e di mio nonno, per cui lascerò il passato alle spalle, prendendone spunto e ricchezza interiore per la mia crescita personale.
Ognuno ha il suo karma, questo è il suo! Buon lavoro!
Jadranka Lara Saba
Angelo Abis
Egregia signora, bando alle questioni personali.
Se le può far piacere sono un pessimo storico che si fida solo delle confessioni dei colpevoli, tutti dello stesso partito di suo nonno, delle sentenze del tribunale, dei resoconti dei giornali, fra cui quello steso sull’Unione Sarda dal futuro parlamentare del PCI Peppino Fiori, che fu decisivo per l’incriminazione di suo nonno.
Quanto alle testimonianze, le posso dire di aver sentito, quando ero ancora un ragazzino, il racconto che ne fece mio padre che nel 46 fu ufficiale sanitario a Guspini. Le ribadisco che non ho niente di personale contro suo nonno. Tra l’altro ho trattato la questione già in passato su riviste e nel 2013 nel volume “Il fascismo clandestino e l’epurazione in Sardegna”. Libro recensito anche dall’Unione Sarda. senza che nessuno smentisse quanto da me raccontato.
Ma le dico di più: suo nonno fu condannato in quanto mandante di un omicidio politico, fatto certamente esecrabile, ma allora abbastanza comune e considerato quasi normale, tanto che, suo nonno sindaco, nel cimitero di Guspini campeggiava lo scritto: “fascisti prenotatevi”. Pertanto, allora, poteva succedere che una brava e onesta persona uccidesse o facesse uccidere un’altra onesta e brava persona solo perché quest’ultima aveva idee opposte alle sue.
Se lei mi avesse esibito, non dico delle prove certe, ma almeno una narrazione credibile di come andarono effettivamente le cose, non avrei avuto nessuna difficoltà a prenderne atto, ma lei non lo ha fatto o non lo ha potuto fare, perché per dire che suo nonno è innocente deve evidentemente conoscere e fare il nome di chi fu il vero mandante di quel delitto.
Per cui, al netto del Karma e della mia pochezza di storico, per la storia l’unico fatto certo e provato è che suo nonno fu il mandante dell’assassinio del dottor Murgia.
Angelo Abis