L’inaugurazione dell’Anno giudiziario col relativo discorso del Procuratore della Repubblica non gode di tantissima attenzione da parte dei media e dell’opinione pubblica e, a parte gli addetti ai lavori, viene vista come un compendio, non certo esaltante e per lo più arido, dei delitti e delle relative pene che hanno intristito la circoscrizione giudiziaria nell’anno appena trascorso.
Eppure, a leggere un vecchio opuscolo stampato a cura dalla Corte d’appello di Cagliari, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario 1937-38 (XVI E.F. – era fascista – III dell’Impero-) si impatta in una realtà giudiziaria tutt’altro che retrograda e conservatrice, anzi aperta alle visioni più moderne e innovatrici, tutt’oggi di scottante attualità, per ciò che riguarda la funzione della pena, la condizione del detenuto, il nesso tra società e criminalità. L’opuscolo di ben 80 pagine, corredato di tabelle statistiche e di massime di giurisprudenza, ha il suo punto focale nel discorso del procuratore del Re, Vincenzo Omodei Zorini, magistrato di cui sappiamo ben poco, ma che certamente era oltre che valente giurista, anche uomo coltissimo. Oggi, il suo discorso susciterebbe scandalo in quanto platealmente incentrato sui valori di ‘Dio, Patria e Famiglia’ e saldamente ancorato alla politica del regime fascista e di Mussolini.
Tuttavia, egli (che sardo non era) ha il merito di ‘nobilitare’, in un capitolo intitolato “Magistratura sarda”, il carattere, oggi diremmo ‘sardista’, della magistratura dell’Isola: “…Lode alta è questa che tributiamo alla Magistratura dell’isola, perché essa è prevalentemente Sarda di origine e di costume e necessariamente la sua opera (indispensabile per la conoscenza esatta della lingua, delle tradizioni e dell’anima del popolo) si svolge nell’ambiente caro al cuore per i legami di affetti, di amicizie e di parentele…”. Colpisce il riferimento alla lingua sarda, come strumento indispensabile per la comprensione dei soggetti che si andranno poi a giudicare. Ma Zorini pretende dal magistrato qualcosa che va ben oltre la semplice gestione burocratica dei processi: “…Fare giustizia è la forma più nobile, più penetrante, più accetta di andare verso il popolo secondo il comandamento del Duce: è spalancare le porte di tutti ai quali è affidata la missione di giustizia a tutti che intendono invocarla ed averla. E’ sentire il lamento del povero, che vuole vedere riconosciuto un suo diritto; la protesta angosciosa dell’innocente; la deplorazione di chi soffre sopruso; il grido di dolore di chi è vittima di violenza; è sopire odi; dar pace alle famiglie; sollevare i caduti e avviarli verso mete di speranza e di fiducia in se stessi e negli altri; è guidare al bene gli sbandati ed i traviati. Se per fare una buona sentenza basta l’intelletto e un sano criterio, per fare opera di giustizia… occorre passione e cuore e sentire il mandato commesso come una missione sociale…”.
Al di fuori dell’ordinario, è pure la trattazione del “Problema della delinquenza in Sardegna”: “… Nell’anno decorso degli omicidi e tentati omicidi avvenuti nell’isola ben 38 sono dovuti allo spirito di vendetta. Pur tuttavia io ho la ferma convinzione che il problema della delinquenza in Sardegna non sia più preoccupante che in qualsiasi altra regione della Patria e che anzi… la forma di delinquenza che riguarda i delitti di sangue, …sia destinata a scomparire… Tale sicuro giudizio è basato su due considerazioni che sono di decisiva importanza: l’una che il popolo Sardo è di principi etici fondamentalmente sani; l’altra è che i delitti di sangue, e quelli che intorno ad essi si raggruppano, hanno origine ed alimento da ragioni storiche e di ambiente… non da tare morali ataviche od ingenite. La leggenda dell’esistenza di una zona delinquenziale tipicamente sarda è da tempo sfatata…”. Ferma è poi la convinzione di Omodei Zorini che compito essenziale del sistema giudiziario sia quello di recuperare alla società sopratutto i giovani sbandati: “…Piuttosto impressionante il fenomeno del minorenne discolo e vagabondo, che viene rilevato dal numero dei minori ricoverati in carcere per misura di P.S. che fu… di 113 nell’anno decorso….Vi sono adunque molti – troppi – ragazzi abbandonati a se stessi che devono essere raccolti, alimentati ed educati. Si dimostra urgente il bisogno della istituzione di un centro di rieducazione per la Sardegna, a soddisfare il quale si va prodigando la illuminata sollecitudine di S.E. il Primo Presidente… e noi avremo certo il conforto di vedere presto aperto ed operante il centro di rieducazione, che tanti benefici effetti avrà per la gioventù più sviata che traviata… Da un anno invece funziona in queste carceri, come in quelle di Sassari, la sezione penale per i minorenni condannati, e più apertamente che altrove, presiede il concetto di togliere alla pena il carattere afflittivo per fare in essa predominante quello rieducativo. Fu somma cura delle autorità preposte agli istituti di prevenzione e pena di fare assumere alla sezione nel decoro esteriore e negli apprestamenti interni, il carattere di collegio-convitto, o meglio, forse, di ritiro e rifugio, per operare, per questa guisa, e subito, nell’animo del condannato. Il recupero alla società si ottiene col trattamento umanissimo fatto al disgraziato: trattamento di sana alimentazione, di lavoro facile e allettante, di salute fisica, e con l’insegnamento morale e religioso teso ad inculcare l’amore della famiglia e della Patria e la fede in Dio”.
Ma per il magistrato è pure importante il destino del carcerato una volta scontata la pena: “…I due assistenziari per i liberati dal carcere aperti in Sassari e Cagliari svolgono attività proficua diretta a risolvere il problema del collocamento al lavoro dei condannati rimessi in libertà, onde sanare la piaga della recidiva e vincere la prevenzione contro chi fu macchiato da colpa… Così i Patronati assistono di conforti, di consigli, e di aiuti finanziari le famiglie dei detenuti: …a Castiadas, all’Asinara ed a Mamone, per dire solo dei tre principali istituti, si cerca e si ottiene di recuperare alla società i traviati e i puniti mercé il lavoro… All’Asinara la popolazione media dei detenuti durante l’anno è stata di 1200…; la mercede complessivamente corrisposta a tale popolazione adibita al lavoro… fu di L. 623.561,59, delle quali L. 14.620,50 furono dagli sposati inviate alla casa coniugale e di L. 6.984,14 dai celibi ai famigliari. Il patrimonio zootecnico è composto da 3948 capi di bestiame. Lo stabilimento basta ai propri bisogni alimentari mentre le industrie in esso attivate hanno dato una entrata per vendita di manufatti di L. 880.746,03 contro la spesa totale di L. 730.000. …I fabbricati… sono stati trasformati in modo da renderli ben areati, puliti e forniti di quelle comodità che l’igiene e il decoro consigliano”. Stesse considerazioni vengono fatte per le colonie penali di Castiadas e Mamone che globalmente accolgono 1.392 detenuti che lavorano quasi 4.400 ettari di terra con una spesa 1.400.000 lire, ma con un incasso di 1.586.000. Ma Omodei Zorini non parla solo per aver letto le carte o per sentito dire: “... Io li ho interrogati i reclusi, da solo a soli, e non ho udito dalle loro bocca voce di lamento, o di reclamo, o peggio di rivolta; nei volti abbronzati dal sole e dal vento, negli occhi rifatti mansueti, dal loro aspetto di serenità e di salute ben chiaro appariva che una anima nuova affiorava…”.
Il finale del discorso del Magistrato è un invito rivolto al Primo presidente della Corte d’Appello :”...Voi vogliate, nel nome Augusto del Re Imperatore, essendo Duce d’Italia Benito Mussolini, che la giustizia politica sia garanzia dell’avvenire dei popoli e che la giustizia sociale presieda alla vita del suo popolo, dichiarare inaugurato l’anno giudiziario XVI dell’Era fascista, III dell’Impero riconquistato”.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)