L’esito della consultazione elettorale di domenica 24 febbraio non è affatto scontato, infatti la pessima legge elettorale avrà un impatto che potrà prescindere dalla vera volontà degli elettori.
Il candidato presidente vince anche per un solo voto in più e, se ottiene il 25%, accede ad un premio di maggioranza che cresce col crescere della percentuale dei voti. Ci saranno liste estranee alle due coalizioni di centrodestra e centrosinistra che potrebbero restare fuori dal Consiglio regionale a causa di uno sbarramento del 5%, e liste minuscole che, al contrario, con percentuali risibili beneficeranno del traino della coalizione vincente. E poi, c’è la ‘pistola’ sempre carica del voto disgiunto, che ad oggi è la grande incognita dell’esito elettorale, perché da tempo girano voci su grandi elettori di destra che voteranno i loro candidati consiglieri, ma scegliendo Massimo Zedda come presidente.
In questo inferno di meccanismi elettorali approvati dalle due coalizioni di centrodestra e centrosinistra in piena sintonia fra di loro e con l’obiettivo di perpetuare le loro poltrone, il candidato Zedda, dato in svantaggio, ha bisogno di ogni singolo voto. Perciò, tratta con estremo fastidio le formazioni minori che hanno rifiutato la sua richiesta di alleanza e che pescheranno voti nel suo bacino elettorale. Ecco spiegato il suo continuo divincolarsi: un giorno uomo di sinistra alleato col Partito democratico; un giorno fiero rappresentante del mondo civico che non ha bisogno dei partiti (tanto meno del Pd); un giorno ancora sintesi felice del centrosinistra che governa la Città e ha governato la Regione; un minuto dopo sintesi felice ma discontinua di una cosa e dell’altra. Vuole raccogliere tutti i voti, possibilmente evitando qualunque domanda difficile sulla sua identità e su quella della coalizione che lo sostiene. E le liste libere di sinistra sono lo svelamento concreto delle sue ambiguità irrisolte.
Un tema su tutti: il referendum costituzionale del 2016. Coerente col suo carattere schivo rispetto alle scelte politiche impegnative, Zedda non ha mai dichiarato il suo voto. Tutti, però, abbiamo notato che ha accolto Renzi con grande soddisfazione nei giorni intensi della campagna referendaria, quando venne a Cagliari in veste di presidente del consiglio per dispensare risorse e complimenti e in veste di leader politico per sostenere il sì alla sua riforma costituzionale.
In un eccesso di zelo e adorazione, il Sindaco che con quella riforma poteva diventare senatore, non si pronunciò, ma si recò senza imbarazzo alla convention elettorale organizzata dal Pd, si sedette in prima fila con Pigliaru (che però aveva pronunciato il suo ‘sì’ senza equivoci) e si godette gli applausi festosi ricevuti al suo ingresso in sala. Senza sprezzo del ridicolo, arrivò a dichiarare tre cose: non intendeva pronunciarsi sul voto perché rappresentava l’intera città e non se stesso; votando ‘no’ avrebbe contraddetto il suo ruolo di sindaco metropolitano; sarebbe andato a votare. Indimenticabile la sintesi di questa arrampicata fornita dall’allora senatore Luciano Uras (suo mentore): “Noi non siamo né per il sì né per il no, siamo per il so”. Facile pensare a quanta ironia avrebbero fatto e farebbero gli addetti al braccio armato del Sindaco se questa ridicola pantomima l’avesse fatta qualche suo avversario politico. Fiumi di inchiostro e tastiere sudate. Tutta l’intellighenzia del cerchio magico immersa nella schiuma del disprezzo.
Certamente nell’ascesa del politico Zedda ha avuto un ruolo fondamentale il suo stretto rapporto col Partito democratico (locale, regionale e nazionale), partito al quale non si è mai iscritto, come egli stesso si premura di sottolineare soprattutto in questo periodo di bassissimo consenso nei confronti del Pd. Questo stretto rapporto col partito che non è mai stato il suo partito potrebbe essere utilizzato come metafora della sua biografia politica, cifra di una dote che nessuno gli può contestare: la capacità di tenere la sua immagine al riparo da qualunque approfondimento. Un’indulgenza con cui tutti hanno contribuito a costruire l’immagine di Zedda e a renderla spendibile come se fosse la migliore sul mercato.
Fino ad arrivare ad una narrazione di Cagliari città amministrata molto bene, ad una pedante riproposizione del cosiddetto ‘modello Cagliari’, che non è soltanto un modello di amministrazione, ma anche di una coalizione politica vincente alle elezioni. In verità, la buona amministrazione consiste in una mera gestione di risorse per realizzare opere pubbliche (molte già programmate dalle precedenti giunte di centrodestra) senza alcun preciso modello urbanistico. Un intervento, certamente opportuno, di decoro urbano che ha dato respiro al comparto edilizio, ma relegato alla funzione di cantiere e privo di un disegno coerente: il sindaco Zedda e la sua giunta, dal 2011 ad oggi non hanno ancora adeguato il Puc al Ppr. A proposito di tempi lunghi, 7 anni per far partire il sistema di raccolta differenziata ‘porta a porta’, che sta provocando gravi disagi e si rivela già obsoleto, mentre la tariffa che i cittadini di Cagliari devono sborsare, per il servizio, resta fra le più care d’Italia.
Un’amministrazione con aspetti assai ‘più mediocri’ di quanto raccontano, come nell’assenza di politiche sociali, inchiodate ad un modello di mera corresponsione di aiuti economici, prive di una precisa consapevolezza dei bisogni e di una programmazione integrata degna di questo nome. Per la scarsa consapevolezza dei bisogni, il sindaco Zedda ha potuto dire, nelle scorse settimane, che a Cagliari si registra un certo benessere. Quanto alla cultura, in una città in cui è stato delocalizzato il Liceo artistico e in cui manca un Accademia delle Belle arti, dopo l’ubriacatura del concorso al titolo di ‘Capitale europea della cultura’ (vinto da Matera), la Giunta Zedda ha partorito il ‘topolino’: una banale gestione dell’esistente. In una città che offre operatori culturali ed artistici di livello, l’Amministrazione non ha mai varcato la soglia della politica. Poteva realizzare una produttiva interazione con la materia della pubblica istruzione, ma esigenze di spartizione delle deleghe assessoriali hanno condotto allo ‘spacchettamento’, separando l’Assessorato alla Cultura da quello alla Pubblica istruzione. E non si può tacere delle attività economiche che chiudono, del problema irrisolto delle piccole attività commerciali strozzate dalla grande distribuzione e dalle tariffe troppo alte o degli interventi di pedonalizzazione privi di un serio studio sul loro impatto.
Ottone
(sardegna.admaioramedia.it)