Riparte una nuova indagine della Procura di Livorno sul disastro della Moby Prince, il traghetto passeggeri della compagnia Navarma che la sera del 10 aprile 1991, appena partito in direzione di Olbia, entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo all’ancora nella rada del porto di Livorno. provocando la morte di 140 persone, 65 membri dell’equipaggio e 75 passeggeri (30 erano sardi, tra i quali il comandante Ugo Chessa, e sua moglie, ndr) – vi fu solo un superstite – nel più grave incidente della marineria italiana.
La prua del traghetto squarciò una delle cisterne del greggio trasportato e si scatenò un incendio. Nonostante la vicinanza al porto, l’incendio fuori controllo provocò ingenti danni sia alla petroliera che al traghetto. Tutte e 30 le persone di equipaggio a bordo della petroliera non riportarono danni fisici. E ora la Procura labronica, diretta dal procuratore capo Ettore Squillace Greco, ha richiesto e acquisito agli atti la relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince, resa pubblica il 24 gennaio scorso in Senato dall’allora presidente Silvio Lai.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta parlamentare, il disastro non è riconducibile alla presenza di nebbia e alla negligenza del comando del traghetto. Peggio: la nebbia fu immotivatamente utilizzata per giustificare il caos dei soccorsi. Le indagini sono state, dunque, riaperte anche dalla magistratura, dopo le risultanze emerse dalla Commissione parlamentare. A svelare la svolta giudiziaria, Luchino Chessa, presidente dell’associazione “10 aprile-Familiari vittime Moby”, e Loris Rispoli, presidente associazione “140”, che nei giorni scorsi hanno incontrato, assistiti dai loro avvocati Stefano Taddia e Carlo Melis-Costa, il procuratore capo Ettore Squillace Greco e il sostituto procuratore Sabrina Carmazzi.
“In questo ultimo anno come familiari delle vittime – spiegano Chessa e Rispoli nella nota congiunta – ci siamo chiesti più volte se gli atti della Commissione parlamentare di inchiesta fossero stati trasmessi alle Procure di Livorno e Roma e se le Procure stesse avessero aperto fascicoli in tale senso. In seguito ad una richiesta specifica, per quanto riguarda la Procura di Livorno, abbiamo avuto un riscontro positivo in occasione di un incontro che si è tenuto lunedì 17 dicembre scorso: è emerso che la Procura di Livorno ha richiesto la relazione conclusiva ancora prima della pubblicazione della stessa. Dal colloquio, dai toni giustamente riservati, è emerso che le indagini, con tutta probabilità, verranno o sono già state riaperte, anche al fine di verificare ipotesi di reato ancora perseguibili”.
La Commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro del Moby Prince, ricordano i portavoce dei familiari delle vittime, “ha lavorato senza interruzione per due anni e le conclusioni hanno ribaltato le verità scaturite dalle inchieste giudiziarie e dai processi, mettendo in evidenza circostanze mai emerse prima quali l’assenza di nebbia, un ancoraggio della petroliera diverso da quello riportato nelle carte processuali, una rotta del Moby Prince che ha subito una turbativa, una sopravvivenza a bordo del traghetto ben oltre i 30 minuti in totale assenza di soccorsi. I dubbi sulla rotta della petroliera prima del suo arrivo a Livorno e sul materiale da esso trasportato, gli strani accordi tra le compagnie assicurative dopo due mesi dalla tragedia sono aspetti emersi nelle indagini della Commissione parlamentare, ma rimangono alcuni punti che non sono stati analizzati, come cosa ha portato il traghetto in collisione”, osservano Chessa e Rispoli.
(admaioramedia.it) (dal “Secolo d’Italia” del 23 dicembre 2018)