Perché, in un momento storico, dove l’umanità è artisticamente alfabetizzata, senza precedenti nella nostra storia, e dove tutte le città metropolitana d’Europa e del mondo hanno una loro Accademia d’Alta Formazione Artistica (in relazione alle specificità culturali, artistiche e storiche del proprio territorio), eccezion fatta per Cagliari, la grandissima parte degli artisti che attraversa le Accademie (a loro volta iperAccademici) si scagli per partito preso contro di loro?
Ad ascoltarli e leggerli, sembra che il problema non sia un mercato privato dell’arte. Mercato che è di fatto il loro principale complice nello squalificare le Accademie, in Italia più che altrove, questo nonostante la prima Accademia di Belle Arti al mondo nasca a Firenze, da dove il modello è stato esportato in ogni dove (eccezion fatta per Cagliari). Le Accademie oggi non sono l’istituzione dominante e omologante nel sistema economico dell’arte contemporanea, la scala di valori oggi è quella dei mercati al vertice, funzionali a investitori privati che utilizzano il pubblico e certi ‘artisti’ per i propri investimenti privati. Gli artisti contemporanei dovrebbero sostenere e mai negare il valore dell’alta formazione artistica comune nel territorio che vivono e abitano, i loro linguaggi e processi artistici, dovrebbero sempre essere in rotta critica con il mercato privato, la loro meta dovrebbe essere la loro casa studio concepita come una bottega e non la servitù a una galleria privata o a reti d’interessi politici. Pensate a quanto sia aumentata, in un mondo globalizzato artisticamente, la produzione artistica. Pensate anche a come la ricchezza, che ruota intorno ai linguaggi dell’arte, passi per pochissime teste, che hanno soltanto il merito d’intermediare interessi finanziari altrui.
L’arte dal punto di vista della ricerca e dei processi che ne derivano, tradotti in linguaggio, non prevede che linguaggi e ricerche artistiche abbiano meno dignità di altre. Picasso ragionava e incoronava il doganiere Rousseau. L’arte non ha limiti d’interazione, connessione a valorizzazione del valore dell’altro, dialetticamente non squalifica, bensì qualifica il valore simbolico e di genere del linguaggio dell’altro (Duchamp e Picasso l’hanno insegnato a tutti nel secolo scorso). Nello scenario attuale di questo scorcio di millennio, le dinamiche di ricerca, dialettiche e didattiche dei linguaggi dell’arte, possono passare soltanto per le Accademie, dal momento che l’intermediario, quando non è la casa d’asta o l’investitore strategico, è Google, Facebook, Instagram, You Tube, Twitter o chi volete voi. In altre parole, l’intermediario resta il mercato sotto forma della Bibbia della Silicon Valley, che configura l’artista imprenditore di se stesso in grado di calpestare con autonomia e gentilezza i propri simili (sovente squalificandoli, bannandoli o rifiutandogli l’amicizia), anarcocomunismo capitalistico che prende la forma dell’art influencer.
Un art influencer è rumore che viaggia attraverso il web, non ricerca o linguaggio, un artista che insegue like, in realtà non influenza niente e nessuno; non imprime svolte nel linguaggio e nella ricerca, non è avanguardia che esplora nuovi e inconsueti spazi di relazione tra ricerca artistica e mondo. L’art influencer non è un barbaro, è un accademico che per marketing e fascia di mercato dichiara di non esserlo. Il più famoso è Maurizio Cattelan, che fa da sempre della provocazione uno sfogo ludico che illude lui e il suo pubblico della sua importanza. E’ innegabilmente un art influencer, naviga con perizia e talento in correnti di mercato più grandi di lui, che asseconda sempre, una triste pedina di un meccanismo impersonale nella sua essenza; un avatar irreale che si presentano come reali. Chi segue art influencer, come Catellan, lo fa distrattamente, segue e sgancia cuoricini sul suo profilo in maniera automatica, anestetizzata e passiva. Cattelan non è realmente un artista, ma lui non ne è consapevole pur se lo dichiara, astrazione e automatismo puro sono alla base del suo successo. E’ eroina, morfina, cocaina, in altre parole è stupefacente, e volontaria ricerca di non consapevolezza. Inseguire questa idea dell’arte, con al vertice il mercato, vuole dire suicidare millenni di storia dell’evoluzione umana attraverso i linguaggi dell’arte. Artisti residenti e Accademie, sono l’economia reale, per questo Cagliari dovrebbe pretendere politicamente la sua Accademia.
P.S. = Nel mio portfolio artistico ci sono molteplici diffide legali da parte dell’Accademia dalla quale sono stato licenziato con il massimo dei voti, per poi essere stato elegantemente allontanato. I motivi? Non penso che le Accademie debbano essere aziende e fabbriche del pensiero unico d’artista. Non penso che i Maestri debbano essere casta nepotica. Non penso che che si debbano allevare e proteggere allievi artisti, per consolidare il proprio potere al ritmo ipnotico dello scambio dei favori e del reciproco riconoscimento. Penso a un’Accademia che sappia essere europea, che sia un polo culturale miscela di passione e intelletto di Maestri e studenti. Trovo repellenti le assunzioni per criteri politici. Mi rappresento come valore fondante dell’arte, la sua moralità etica tradotta in ricerca estetica. Non ho mai pensato all’Accademia come un talent show, per quello bastano gli art influencer come Cattelan.
Domenico Di Caterino
(admaioramedia.it)