Sono già trascorsi parecchi mesi dalla pubblicazione del pregiato volume “L’architetto in camicia nera. Angelo Misuraca: fortuna e fama, rovina e morte in prigione, oblio. Case, quartieri, progetti per Sassari fascista”. Il volume stampato a cura di Mario Pintus, figlio di un collaboratore di Misuraca deceduto di recente, è stato curato dal giornalista sassarese Cosimo Filigheddu e dall’architetto urbanista Sandro Roggio.
Ma chi era in realtà questo Misuraca? Onde evitare, prudentemente, di incorrere in vecchie e nuove norme sull’apologia del passato regime, lasciamo al giornalista che ama proclamarsi “un vecchio arnese di antifascista” l’onere di illustrarci la figura dell’architetto fascista: “… Quello che mi interessa è il 29 luglio del 1944, perché in quel giorno, anzi, in quella notte afosa, morì improvvisamente in galera Angelo Misuraca, un signore che sino a pochi mesi prima era il più grande, ammirato e potente architetto di Sassari.
Incarcerato nel dicembre del 1943 per avere tentato di rifascistizzare una Sardegna che faceva parte del Regno del Sud di Badoglio e Vittorio Emanuele, Misuraca morì inaspettatamente, stranamente e proprio nel giorno del compleanno di Mussolini, nella sua cella del carcere di Oristano, affollato di fascisti sardi che avevano cospirato per passare alla Repubblica di Salò. I detenuti politici fascisti li avevano concentrati tutti lì perché era il più libero da ‘comuni’, dato che a Oristano c’era un basso indice di criminalità. Tra questi prigionieri neri, anche il ragazzo Antonio Pigliaru (padre dell’attuale Presidente della Giunta regionale, ndr), che con un bel po’ di anni di galera pagò la sua coerenza di fascista, poi in un tormentoso, splendido processo esistenziale diventò il più grande intellettuale sardo democratico del Novecento insieme ad Antonio Gramsci. Visto che storie sono finite o solo passate in quella galera campidanese? Ma quella di Misuraca ha un pizzico in più di mistero che – magari sarò troppo dietrologo – a me mi ensorcelle umbé, come direbbe Josephine Baker. Pensate che quasi nessuno conosceva l’esistenza di questo architetto che ha dipinto il volto della Sassari degli anni Trenta, cioè quella che in gran parte esiste ancora. E non è una brutta fetta di città. Fidatevi, se non altro perché ve lo dice uno che quando sente parlare di fascisti gli vengono i tic in faccia come al commissario Dreyfus nella Pantera Rosa quando gli nominano l’ispettore Clouseau. Nei suoi edifici pubblici e privati e nei suoi quartieri c’è il meglio delle correnti europee di quel periodo e molto poco del monumentalismo di regime. Singolare personaggio, Misuraca: spirito culturalmente piuttosto libero, intelligente, aperto al mondo, mite ed educato ma fascista sino al midollo”.
Misuraca venne arrestato il 15 settembre 1943 e condannato a 18 mesi di carcere. Al di là delle imputazioni formulate contro di lui, non vi è dubbio che aveva commesso dei reati gravissimi, tutti da codice militare di guerra, tenendo anche conto che il suo operare non era frutto di estemporanee iniziative individuali, ma rientrava nell’ambito dei progetti del movimento fascista clandestino che era ben strutturato e organizzato, contando nelle proprie fila un gran numero di ufficiali dell’esercito ancora in servizio, con diramazioni anche nelle altre provincie sarde, segnatamente in quella di Nuoro dove il movimento aveva pure una radio clandestina, gestita dall’allora ufficiale dei guastatori Bruno Bagedda, che teneva i contatti con la Repubblica di Salò, segnatamente col sottosegretario di Mussolini, Francesco Maria Barracu. La fortuna, si fa per dire, dei fascisti arrestati fu che il Tribunale militare della Sardegna era, nella sua totalità, restio a considerare le azioni fasciste come ‘antinazionali’ e di intelligenza col nemico. Da qui tutta una serie di sentenze che quando non erano scandalose erano molto miti, con grande cruccio del Comando militare alleato che protestava in continuazione. C’è da aggiungere, e ciò è fedelmente riportato nel libro “L’architetto in camicia nera”, che nelle carceri di Oristano i fascisti morivano letteralmente di fame.
Il libro riporta la testimonianza di Pigliaru secondo cui la razione di cibo consisteva in un brodo di cavoli neppure una volta al giorno e quella di Gavino Pinna: “Molti detenuti in attesa di giudizio morirono di fame. e questo risulta dai certificati redatti dal medico”. Cosa diremmo oggi se nelle carceri fasciste Gramsci avesse avuto questo trattamento? Ma se Misuraca era un fascista tosto, la moglie Eugenia, dirigente del fascio femminile, non era da meno. Nel suo diario privato, opportunamente riportato nel libro, racconta che il marito fu arrestato dal vice commissario Colonna (ex funzionario dell’Ovra). Al momento dell’arresto il poliziotto disse sarcasticamente: “Questo succede a chi non si occupa solo della propria professione”. Ecco la risposta di Eugenia: “Sarà sempre meglio che essere al servizio di chi bombarda le nostre città”.
Filigheddu non riesce a spiegarsi come su una figura così importante della città di Sassari per settant’anni sia calata una coltre di silenzio inspiegabile, a meno che, come afferma l’autore del libro, Misuraca “...sia il protagonista di una singolare damnati memoriae… che ha portato i sassaresi a cancellarne il ritratto. Il ricordo della sua vita muove da questa domanda e dal sospetto di una rimozione collettiva da parte della città non soltanto di Misuraca ma di un complesso di persone, eventi e addirittura monumenti di mattoni e cemento che hanno importante parte del ventennio a Sassari.”. Francamente il problema, che è di non facile soluzione, non ci appassiona. Più inquietante è che a quasi un anno dalla pubblicazione del libro, che per il contenuto è una vera e propria bomba, le reazioni siano alquanto tiepide: solo qualche articolo di stampa o su internet, perlopiù in quel di Sassari. Niente convegni o conferenze, niente prese di posizione da parte di intellettuali, storici, architetti. E che dire poi del mondo politico sia di sinistra che di destra. Impossibile che a nessun consigliere comunale di Sassari sia venuto in mente, se non altro per farsi un po di pubblicità, di chiedere di intitolare al grande architetto almeno una strada della città?
Angelo Abis
(admaioramedia.it)