Verso la fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, in Cina, alcuni contadini del distretto di Huxian con i loro quadri testimoniarono la determinazione di volere fare presente, con la loro pittura come stessero mutando i loro luoghi e la loro vita. Questo il valore della cultura e del gesto artistico, millenario, in Cina.
Il gesto artistico, patrimonio comune, che accompagna il tempo. Questi contadini, con il loro gesto e linguaggio artistico, come i pittori impressionisti, fecero da traino, per artisti e maestri d’accademia che con loro, accorsero per lavorare e documentare, dall’Accademia di Belle Arti di Xi ‘an, per essere seguiti da altri artisti e altre istituzioni accademiche, tutti insieme appassionatamente, a dipingere scene moderne di vita agreste. Questo movimento naturale mosse un mercato locale, prima che internazionale, le tele vennero presentate nel 1973 (quando accidentalmente vennero ‘scoperti’ i Giganti di Monti Prama), nella Galleria di Arte cinese di Pechino, apprezzate da critici e mercanti locali prima che internazionali, per cromia e qualità linguistica. Così un’Accademia di Belle Arti può porre a sistema la propria cultura, nel proprio tempo e fare da traino. Esperienze del genere in Sardegna sono state mai messe a sistema? Il Rockbus Museum di Campo Pisano a Iglesias, connubio di resistenza e lotta operaia e diritto dei lavoratori, e arte residente, è stato rottamato senza che nessuno abbia battuto ciglio, con la complicità di artisti che ne erano stati fautori.
Sembra che l’impedimento maggiore alla nascita di un’Accademia di Belle Arti di Cagliari, sia un veto politico trasversale d’area sassarese, perché in fondo basterebbe spostarsi fin Sassari. Penso a quanto sia diventato italiano l’isolano; penso a come nell’ottobre 1820, l’allora Re di Sardegna, Vittorio Emanuele II, emanò un editto di chiusura dei beni comuni, imponendo culturalmente la proprietà privata. Si recintarono grandi spazi di proprietà comune, determinando uno shock che nell’isola non è mai stato superato, culminato in una serie di rivolte sedate con bagni di sangue. Eppure, l’abusato Antonio Gramsci, nel 1919, aveva presente come i Sardi siano stati culturalmente depredati da una idea di cultura ed economia comune, la parola ‘sa comuna’ a sua detta era la più diffusa in limba. Non bastasse nel 1865 vennero aboliti anche i diritti comunitari di pastorizia, pesca, acqua e caccia. In altre parole, dall’unione d’Italia, si fece di tutto per indurre spopolamento ed emigrazione: a fine Ottocento si emigrava in Tunisia o in Algeria per cercare un impegno consono alla propria rappresentazione culturale. Prima che venisse insegnato ai Sardi a scappare dalla propria terra, si sapeva godere in comune della propria terra come della propria arte. Da un lato s’istigava a emigrare, dall’altro non si comprendeva il proprio potenziale turistico, veniva considerato da agricoltori e pastori come una perdita di tempo per borghesi (io ancora lo considero così), di fatto non esisteva in limba sarda il termine natura come bene comune da tutelare e del quale godere. Il termine natura era accostato alla sessualità generatrice e riproduttiva, forse anche quella da tutelare.
Oggi l’Isola intera sembra avere compreso come il turismo sia un volano economico, che la complessità del tempo presente non consenta più equilibri d’autodeterminazione agropastorali e di caccia. Quanto ci vorrà affinché si comprenda, con ritardo secolare, che l’istituzione di un’Accademia di Belle Arti di Cagliari altro non farebbe che alimentare l’industria culturale e artistica isolana. Quanto si vorrà persistere con un’idea dell’arte fondata sull’altrove, che determina addetti ai lavori ibridi, che paiono operatori culturali che mettono in scena la loro identità. Quante “Paratissima” estive e residenze d’artisti – che varranno quanto la sagra del cinghiale, del maialetto, della salsiccia, delle cozze o della birra – si dovranno subire ancora? Possibile che nel 2018, un settore come l’alta formazione artistica, strategico in tutti i luoghi e tutte le culture, nell’Isola debba ridursi a uno scontro tra poli sassarese e cagliaritano? Sembra di non essere mai usciti da quella cultura popolare che vedeva Cagliari e Sassari in conflitto per la supremazia religiosa e spirituale nell’Isola. Eppure, un tempo, i linguaggi dell’arte sono stati patrimonio comune isolano, sembrerebbe dircelo la cultura nuragica del II secolo d.C., nell’isola tutta si eccelleva nella lavorazione dei bronzetti e delle navicelle propiziatrici di viaggi. Questo per non fare cenno al culto diffuso della Dea Madre o del Dio Toro, oppure a come nel IX secolo a.C. la scultura a tutto tondo nascesse proprio in questa terra, dove si ama ignorare e seppellire la propria storia e dove si finge che un’Accademia di Belle Arti a Cagliari non abbia ragione d’essere reclamata.
Domenico Di Caterino
(admaioramedia.it)