La notizia del giorno è riportata dal rapporto della Crenos, riguardo al sistema produttivo isolano. La relazione evidenzia che in Sardegna si esportano maggiormente, nell’ordine: petrolio, chimica di base, armi (bombe) e formaggio. Ma non è la graduatoria a destare imbarazzo.
Le produzioni petrolifere sono realizzate dalla Saras, che possiede, tra l’altro, l’impianto di gassificazione a ciclo combinato e da combustibile liquido più grande al mondo. Assicura lavoro a 2.000 addetti. Il settore petrolifero, da solo, rappresenta oltre l’80% delle esportazioni sarde. Il motivo della preoccupazione è dovuto al fatto che, mentre le prime tre produzioni crescono, la quarta continua a diminuire.
Siamo al terzo anno consecutivo di contrazione delle vendite dei prodotti lattiero-caseari. Nel 2018 la diminuzione è stata allarmante: si è perso quasi un quarto del valore delle vendite all’estero, passando dai 120,7 milioni di euro del 2017 ai 91,4 del 2018. La flessione è determinata dal mercato. Soprattutto a causa della riduzione della domanda da parte degli Stati Uniti.
Quali soluzioni adottare, dunque, per il rilancio del settore che, più degli altri, rappresenta un simbolo della nostra cultura e la nostra identità? Probabilmente, occorrono investimenti più massicci sul piano della comunicazione e della produzione. Il Pecorino sardo, ad esempio, possiede un alto valore biologico, oltre che nutrizionale, ma non va oltre la produzione di 20.000 quintali. Troppo poco per competere con altri formaggi.
Bisogna informare, certo, ma anche produrre con intelligenza, ampliando la gamma dell’offerta e garantendo la qualità. Gli strumenti di comunicazione non mancano. Forse manca la volontà.
Giorgio Fresu (da “Tepilora.info”)
(sardegna.admaioramedia.it)