Nell’ambito delle celebrazioni per il 90° anniversario della morte e del conferimento del premio Nobel a Grazia Deledda merita di essere ricordato l’articolo commemorativo, pubblicato sulla rivista culturale del Guf (Gruppo universitario fascista) dell’ateneo cagliaritano, “Sud Est“, scritto dal noto intellettuale e scrittore Antonio Romagnino, allora giovanissimo (appena 18enne) redattore capo della rivista fascista. Era il mese di settembre 1936 e la rivista uscì nelle edicole con il n. 9 (luglio-agosto).
“Sud Est“, fondato nel 1934 da un gruppo di studenti fascisti dell’Università di Cagliari, capeggiati da Marcello Serra, fu per quasi un decennio (cessò infatti le pubblicazioni solo a seguito del rovinoso bombardamento che colpì Cagliari il 28 febbraio 1943) la fucina nella quale si formarono gran parte degli scrittori, artisti e anche politici che hanno caratterizzato la Sardegna del dopoguerra. Per fare qualche nome: dai letterati Marcello Serra, Nicola Valle, Salvatore Cambosu, Antonio Romagnino, Francesco Alziator, Cenza e Ginevra Thermes, al musicista Ennio Porrino, ai politici Renzo Laconi, Luigi Pirastu, Mario Pazzaglia, Giuseppe Brotzu e tanti altri.
Angelo Abis
«Grazia Deledda è morta! Mai come ora ne sentiamo tutta la grandezza, avvertiamo il senso di quello che Ella era per noi. Con la mestizia nel cuore, ma con l’orgoglio di essere suoi conterranei, ci avviciniamo alla sua figura e alla sua vasta produzione letteraria. Troppo ella ci è ancora vicina per dare decisivi giudizi sulla sua arte. Una cosa di lei si può dire, che l’arte dei suoi romanzi era un’arte pura, senza machinose ingegnosità insincere, senza dannose interferenze, primitiva come la sua terra, perciò unica. Grazia Deledda non seguì alcune delle maniere o scuole del tempo suo e neppure ne creò una nuova. Creatura fatta tutta di sensibilità e sincerità straordinaria, non poteva costringere il suo animo agli spasimi di una morente maniera romantica o alle vuote nudità del crudo verismo. La sua era sopratutto una figura morale e morale sopratutto doveva essere la sua arte. Se altri diedero un respiro nuovo e apersero nuove vie al romanzo italiano, Grazia Deledda ha avuto il grande merito di restituirgli la funzione morale che dopo il Manzoni aveva perduto. E’ stato detto che Grazia Deledda restrinse la sua osservazione ad un piccolo mondo: la sua terra. ma di questo piccolo mondo ella fece un grande mondo per altezza morale. Grazia Deledda diede anche nella sua vita tormentosa un altro esempio magnifico della sua superba personalità: fiduciosa nei suoi mezzi, ma conscia delle difficoltà dell’impervio cammino da percorrere, durò a lungo nello studio silenzioso senza mai disperare, con la costanza formidabile che le veniva dalla sua terra. Lungo fu il cammino non privo di ostacoli; La nuova arte di Lei trovò forse all’inizio più detrattori che giudici spassionati. Infine, giunta alla maturità, il trionfo, per Lei e per l’Italia: il premio Nobel, la gloria che varcava i confini, il riconoscimento pieno, incondizionato. Ma Grazia rimase la stessa. La semplicità della vita, fatta di abnegazione, tutta rivolta ad un miglioramento intenso ed operoso, non poteva permetterLe un cambiamento. Così nella vita come nell’arte. Lo stesso mutamento, da molti osservato, nei suoi romanzi, è solo apparente. si tratta solamente d’un semplice cambiamento d’ambiente, ma i personaggi dei suoi ultimi romanzi, piangono, gioiscono, esultano allo stesso modo dei primi. Da ” Fior di Sardegna” a “Annalena Bilsini” sempre uguale nell’intimo del suo animo, solo progressivamente affinato dallo studio continuo e dalla sensibilità vieppiù esperta». Antonio Romagnino
(admaioramedia.it)