Don Antonio Maria Ledda nacque a Sindia l’8 gennaio 1908 e divenne sacerdote presso il pontificio seminario regionale di Cuglieri nel 1931. Nel 1937 ottiene l’arruolamento, in qualità di cappellano militare, col grado di capo manipolo (tenente), presso la 195° Legione d’assalto delle Camicie nere e durante la Seconda guerra mondiale fa parte del gruppo Camicie Nere “Montebello”, in addestramento a Roma dal 1941 .
Il reparto fu spedito in Russia nella primavera del 1942 e l’11 settembre dello stesso anno prese posizione nell’ansa del fiume Don. A partire dal 10 dicembre, le camicie nere furono investite da una fortissima offensiva dei reparti russi. Il “Montebello” resistette, spesso contrattaccando, sino al 20 dicembre, quando ricevette l’ordine di ripiegare. Il 22 dicembre il “Montebello” viene chiamato a rompere un accerchiamento nemico. L’operazione riesce, ma il reparto subisce 115 morti, 380 feriti e 66 congelati. E’ in questo frangente che don Ledda manifesta tutto il suo coraggio e spirito di solidarietà verso i suoi commilitoni, puntando la pistola verso un colonnello che, evidentemente preso dal panico, stava per darsi alla fuga. Ferito a un braccio e colpito da congelamento ad un piede, viene tratto in salvo da un suo commilitone di Bonorva, che se lo carica in spalle durante la ritirata. Per questo suo comportamento gli fu conferita la medaglia d’argento al valor militare. Ai primi di marzo del 1943 i superstiti del “Montebello”, fra cui don Ledda, furono rimpatriati e assegnati alla costituenda Divisione corazzata “M”, in addestramento alle porte di Roma. E, proprio da Roma, dopo l’8 settembre, don Ledda, promosso centurione (capitano), fu assegnato alla Legione “M – Guardia del Duce”.
Nel mese di novembre la Legione viene dislocata dove è il cuore della vita privata e pubblica di Mussolini: Salò. E’ da questo momento che don Ledda, divenuto anche responsabile dell’assistenza spirituale della Guardia Nazionale Repubblicana (Gnr) di Brescia, assume la veste di soldato politico. Divulga il suo credo tramite i giornali “Brescia Repubblicana” (quotidiano del Partito Fascista Repubblicano) e “Mi Cup” (foglio del Gruppo fascista della cultura popolare). Non dimentico poi delle sue origini isolane, alternandosi al sottosegretario Francesco Maria Barracu, trasmette alla radio di Salò i suoi discorsi incitanti i sardi alla ribellione contro gli alleati. Agli inizi del 1944 destò particolare scalpore un suo discorso commemorativo dei caduti in Istria e Dalmazia nel quale individuò come nemico principale “…la rabbia comunista, fomentata dagli ebrei che già vendettero e uccisero Cristo, e dagli emissari di Mosca, prezzolati col dollaro e la sterlina… Non profano il tempio di Dio se io, Sacerdote di Cristo, predico l’amore di Patria e la Guerra Santa. Perché non furono empi Urbano II, Pietro L’Eremita e San Luigi IX. Anche la nostra è una Guerra Santa. Combattiamo contro i nemici di Dio, della sua religione e della civiltà. Combattiamo contro l’anticristo: Il bolscevismo, gli ebrei, i massoni, gli anglicani…”.
La cosa non piacque al cappellano provinciale di Brescia monsignor Angelo Barcellandi, che scrisse al responsabile dell’Ordinariato militare della Santa Sede monsignor Casonato, chiedendo la rimozione di due cappellani sardi: “… Alla XV legione è stato mandato un tale don Ciceri, sardo; questi non riconosce il cappellano capo; veste impenitentemente la divisa grigio verde, non rispetta le vigenti disposizioni per la divisa talare, tiene condotta immorale, non recita l’ufficio ecc. Nel reparto delle camicie nere che c’è a Salò c’è un certo don Ledda; non l’ho mai visto. So di lui perché S.E. Mons. Vescovo mi mandò a chiamare per dirmi di lui: nella predicazione ai soldati non parla di vangelo e di dottrina, ma di politica: tiene una condotta immorale; anche gli stessi fascisti non lo stimano perché è sacerdote sfasato. Tutto questo per scaricarmi da ogni responsabilità personale e d’ufficio. Tu vedi quel che c’è da fare”. L’effetto della missiva fu controproducente, poiché, venutone a conoscenza il comando della Gnr, non solo chiese l’allontanamento di monsignor Barcellandi, ma, scavalcando l’Ordinariato militare, nominò, nel luglio 1944, don Ledda ispettore generale dei cappellani della Gnr.
Don Ledda aprì un apposito ufficio a Salò e chiamò a farvi parte, scavalcando anche lui l’Ordinariato militare, don Giovanni Antonio Ciceri, sardo di Tempio Pausania, suo fraterno amico che tale rimarrà per tutta la vita. Da luglio sino a ottobre procedette alla nomina di un gran numero di cappellani militari nei reparti della Gnr, in barba al nulla osta obbligatorio dell’Ordinariato militare. Rientrò fortunosamente in Sardegna alla fine del 1945, dopo il crollo della Repubblica di Salò.
Nel 1949, su richiesta del Vaticano, si recò in Venezuela. Li, dopo aver appreso in breve tempo la lingua spagnola, diventa prima editorialista e poi direttore del più importante quotidiano cattolico del paese, “Fe y accìon”. Successivamente nella capitale dello stato venezuelano di Lura, Barquisimeto (1.200.000 abitanti), diventa editorialista del quotidiano di quello stato, “El Impulso”. Qui manifesta le sue tendenze letterarie scrivendo articoli e racconti anche relativi alla Sardegna e al suo paese natale, Sindia. Avendo ottenuto l’incarico onorifico di cappellano di Sua Santità, ne conseguì la promozione a monsignore. Ricopre importanti incarichi nell’ambito della gerarchia cattolica: tra l’altro, sovraintendente ai cappellani delle carceri, cappellano della polizia, membro del tribunale ecclesiastico, membro della Commissione diocesana per il pellegrinaggio nazionale in onore della Vergine di Coromoto, ecc. Viene spesso in Sardegna e nella sua Sindia dove incontra i vecchi commilitoni (era pure tesserato all’Associazione nazionale combattenti e reduci), in particolare l’indomito don Ciceri. Concluderà la sua avventurosa vita terrena il 1° giugno 1986 a Barquisimeto. Ma la sua fama non viene meno. Per il decennale della sua scomparsa il quotidiano “El impulso” gli dedica un ampio articolo rievocativo dei suoi meriti religiosi e civili. In Sardegna, almeno sino ad oggi, è invece un illustre sconosciuto.
Angelo Abis
(admaioramedia.it)