In un’Associazione dove la volontà dei Volontari non conta più nulla il problema è di testa, c’è chi l’alza e chi no. I fatti, in un’inchiesta giornalistica come quella che sto conducendo sull’associazione di volontariato più grande d’Italia, la Croce Rossa Italiana, servono ad evidenziare i fenomeni, l’ho detto e lo ripeto, non a denunciare le persone. Per questo sono costretto a raccontarvi della defenestrazione con la quale la Sardegna non ha più il Presidente del Comitato regionale ma non voglio indagare sui fatti, anche se i nostri amici sardi mi hanno promesso grossi colpi di scena.
Quindi non voglio raccontarvi del centro di formazione di Bosa o di verbali assembleari che si basano su presupposti erronei ma di un sistema, quello dei commissariamenti, che, se pur basato su una norma statutaria, è di fatto di talmente elastica interpretazione che viene usato come un maglio, come una sanzione disciplinare non disciplinata, per abbattere, in separata istanza e senza contraddittorio, le velleità di presidenti che non si vogliono allineare ad un mainstream o non risultano più allineati. Il commissariamento, cioè, nel momento in cui non avviene per le dimissioni spontanee del presidente o un suo impedimento o le dimissioni dei consiglieri o, da ultimo, per mancanza di candidati alle elezioni, è un atto che dovrebbe essere contemperato da una serie di fattispecie ben distinte e normate. Cosa che in Croce Rossa Italiana è sempre stata promessa ma non accade.
Così nel caso della Sardegna si è trovata la causa efficiente in un verbale che a due anni di distanza e dopo la distribuzione di quello considerato valido a tutti gli aventi diritto, diventa pietra dello scandalo perché due dipendenti di Croce Rossa decidono che sia così di fatto spianando la volontà assembleare dei volontari e, come rafforzativo del concetto di dominio assoluto dell’azienda sul movimento, quale commissario del Comitato regionale viene indicato un ex dipendente. Evidentemente la copertura politica che sosteneva la presidente sarda è venuta meno a dimostrazione che i presidenti regionali, non bastasse la diminuzione delle prerogative subita con l’istituzione della classe dei segretari, si reggono sulla loro poltrona non per volontà dei loro consigli ma per il buon rapporto che li lega al Consiglio direttivo nazionale. Mi sarebbe piaciuto che quest’istanza di punizione nei confronti dell’atteggiamento improvvido del presidente della Sardegna fosse passata attraverso l’assemblea che l’aveva eletta, che fosse stata stimolata da qualche suo socio invece di scoccare dall’arco della quarta componente, quella dei dipendenti sempre più protagonisti della vita di un’Associazione che è nata senza di loro; allora si che il provvedimento avrebbe avuto la legittimazione che oggi manca in maniera assoluta.
E in effetti a cadere in piedi è il segretario regionale che, in virtù della natura fiduciaria dell’incarico, doveva seguire le sorti del Consiglio che l’ha nominato decadendo anche lui ed invece è e sarà ancora li. In fondo, il verbale del 2016, che qualcuno asserisce essere stato ‘smanettato’, andava pubblicato nei 15 giorni successivi all’adunanza, nel 2016 appunto e così è stato fatto. E in Sardegna di verbali duplicati c’è chi se ne intende e lo dimostra con gioia senza che nessuno alzi la voce o pratichi squartamenti pubblici. Il problema in fondo è di testa, c’è chi l’alza e chi no, e di un Consiglio disciplinare nazionale molto autoreferenziale che fa, dice, scrive ma poi non pubblica, sposta le scadenze degli atti, si inventa le norme e se le fa ratificare a posteriori, ma è in tutto e per tutto organo politico dell’Associazione, di quella stessa Associazione che non è più indipendente, neutrale, umanitaria, indipendente, unita, democratica e soprattutto non ha più le fondamenta in un’azione volontaria e disinteressata.
Bisogna decidersi e farlo in fretta. Se si usano i commissariamenti per coadiuvare l’attività amministrativa di organi elettivi basterebbe invece affiancare loro una struttura operativa che li possa formare e stimolare adeguatamente ma questo in una non associazione dove si pratica un’unica sanzione disciplinare, la radiazione o niente, dove si è costretti ad osservare un unico verbo e a venerare un unico Capo non serve al Sistema, non ha senso. Allora si preferisce usare la ragnatela di norme spesso sopravvenienti e contraddittorie spacciandola per il Bene dell’Associazione, mentre viene brandita come una mannaia per decapitare le teste che svettano dal gregge. Dite la verità, a voi piace così, vero?
Cristiano Degni (dal blog “Word in Press”)
(admaioramedia.it)
One Comment
Pasquale
Come darti torto due pesi due misure..
Basta vedere la situazione di Napoli, con denunce e condanne nessuno lo smuove?? Chissà perché??