Qualcuno comincia ad accorgersene: dicono sempre le stesse cose, parlano per slogan (biodiversità, filiera corta, prodotti a km zero ed altre amenità) perché non hanno idee e non conoscono la realtà sarda. Senza una analisi attenta ed approfondita dell’esistente, come puoi progettare il futuro? Non dico programmare, perché questa è una ‘pessima’ parola. Nei tempi moderni puoi, se hai i soldi ed il posto in nave, programmare una vacanza, ma non certo lo sviluppo economico, perché quando questi pseudo-politici hanno programmato qualcosa, gli obiettivi fissati sono stati rigorosamente ed inequivocabilmente falliti.
Siamo in un sistema di libero mercato, almeno a parole, quindi gli imprenditori hanno il diritto di guadagnare. Le uniche regole che devono rispettare sono quelle stabilite dalle leggi, la qualità dei prodotti, l’applicazione di contratti giusti e regolari. In teoria, libertà di produrre, vendere, acquistare. Gli stessi diritti che hanno i produttori di latte (ovino o vaccino) regolarmente strozzati dagli industriali del settore, che fissano le regole come e quando vogliono e che utilizzano i consorzi di tutela e le cooperative di produzione per accrescere i loro guadagni. Salvo poche, coraggiose, eccezioni gli allevatori vendono a ‘scatola chiusa’ le loro produzioni. I produttori di latte ovino, per cercare di tirare avanti, si ‘accaparrano’ alla fine dell’estate, prendono dagli ‘industriali’ acconti sul latte, che produrranno nella stagione successiva, ed accettano prezzi e variazioni che decideranno quei pochi industriali che fanno ‘cartello’. I produttori di latte vaccino possono rivolgersi a pochi trasformatori, che fissano i prezzi a seconda dell’andamento del mercato nazionale, perennemente depresso e sempre troppo basso; altrimenti devono smettere di produrre.
Gli industriali del pecorino, come ha dimostrato recentemente la scoperta che Timisoara (o come diavolo si chiama) è una frazione di Thiesi, conoscono bene le regole del mercato e sanno muoversi con grande disinvoltura. Il pecorino romano non è un prodotto di gran pregio, serve solitamente negli Stati Uniti per dare corpo ad una miscela di formaggi di diversa provenienza; è facile da produrre e conservare; non ha bisogno di una capillare commercializzazione. Lo pagano quello che impone il mercato e gli industriali liquidano il latte secondo quello che incassano (in passato ricevevano premi per l’esportazione ed altri contributi comunitari, che hanno permesso consistenti guadagni, certamente non ‘divisi’ con i produttori). Le cooperative, nella maggior parte dei casi, invece, non ‘diversificano’, perché non riescono a vendere direttamente grosse quantità di formaggi ‘molli’, che devono essere commercializzati e venduti in tempi brevi, e si affidano, per le loro produzioni ‘tradizionali’, ai principali produttori del settore. Quindi… Nel comparto vaccino i prezzi sono più o meno ‘imposti’ dagli accordi interprofessionali e quando si parla di prezzi ‘a qualità’ si dice una mezza verità, perché i parametri utilizzati sono quelli del grasso, della caseina, delle cellule somatiche, della refrigerazione e basta. Così il latte oscilla attorno ai 34/36 centesimi al litro (come in quasi tutte le altre regioni italiane) mentre il prodotto fresco, intero o parzialmente scremato, viene venduto ad un euro e cinquanta; il latte a lunga conservazione costa meno, ma almeno il doppio o il triplo di quanto viene pagato alla stalla.
C’è qualcosa che non funziona, in questa situazione, perché l’anello debole guadagna sempre meno e non ha certezza che i propri diritti siano doverosamente riconosciuti. Certo, mettere ordine in questo comparto è difficile, impossibile, anche perché i politici, i tecnici, le organizzazioni di categoria hanno poche idee, ma molto confuse. Ed i produttori, salvo qualche piccola e coraggiosa eccezione, non se la sentono di cercare, individualmente, nuove strade. Per favore, smettetela di raccontare il nulla, mettete a punto pochi strumenti a sostegno dei produttori, delle produzioni innovative e lasciate fare a quelli che questo mestiere hanno deciso di farlo per passione. Senza continuare a romperci i timpani con frasi fatte e luoghi comuni, che poggiano sul nulla.
Cochise
(admaioramedia.it)
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