A meno di un anno dalle prossime elezioni regionali, le nefaste proiezioni che, a sinistra, vengono fatte proiettando su tale prova elettorale i risultati delle ultime politiche, fanno tornare in auge il leit motiv della modifica della legge elettorale.
L’impressione che si trae dalle indiscrezioni, riprese dalla stampa locale è, invero, che la morente coalizione di centrosinistra alla guida della Regione sia, sopra ogni cosa, terrorizzata dalla norma che prevede che il candidato governatore che giunge primo possa essere eletto con qualsiasi percentuale e, superando appena il 25% dei voti, possa governare con una solida maggioranza del 55% dei seggi. In presenza di un netto declino elettorale delle sinistre e di una prevedibile frammentazione politica – le cui reali dimensioni potranno conoscersi quando saranno chiare le strategie del centrodestra e degli indipendentisti – è infatti evidente che una vittoria del Movimento 5 Stelle, anche tenuto conto del calo fisiologico dei consensi che esso fa registrare alle elezioni regionali rispetto alle politiche, sarebbe ben più che probabile.
Il sindaco di Assemini e coordinatore regionale del M5S Mario Puddu, da tempo indicato come probabile candidato alla carica di governatore, ha infatti messo subito le mani avanti, insorgendo contro le ‘voci’ secondo cui sarebbe in cantiere addirittura l’abolizione dell’elezione diretta del presidente della Regione, con una sorta di trasposizione del nefasto Rosatellum. In realtà, tale ipotesi corrisponde soltanto alla proposta più estrema in campo, enunciata in un disegno di legge presentato dal consigliere Daniele Cocco, non a caso esponente di Leu (che ha dimostrato, in caso di mancata alleanza col Pd, di avere problemi anche a superare lo sbarramento del 5% oggi previsto per le liste singole), ed è probabilmente inconciliabile con lo Statuto regionale, il cui articolo 15 prevede che siano conciliati i principi di “rappresentatività” e di “stabilità”; si parla più attendibilmente, casomai, di una rimodulazione delle soglie di sbarramento (oggi molto restrittive per i gruppi e le coalizioni minori e troppo generose per i partiti minori delle coalizioni maggiori) o, senza troppa convinzione, della possibile introduzione del ‘doppio turno’, sul modello delle elezioni comunali.
Forse i consiglieri regionali dovrebbero, però, aver presente che l’eventuale adozione di un sistema elettorale al fine di penalizzare qualcuno (come avvenne con la legge elettorale in vigore, chiaramente ostile alle ‘terze forze’), o di limitare i danni per chi sta al potere, è sempre stato un modo di fare i conti senza l’oste con esiti spesso controproducenti, come dimostrano proprio le recenti elezioni politiche, laddove il Movimento 5 Stelle, contrariamente alle previsioni, non è stato affatto penalizzato dal Rosatellum, che sembrava favorire le coalizioni. Da qui un modesto consiglio non richiesto, che estenderemmo anche ai grillini locali, se, sentendosi la vittoria in tasca, intendono per ciò solo difendere a oltranza una legge elettorale obiettivamente non priva di aspetti di iniquità (tanto da aver allontanato dalle urne, nel 2014, quasi la metà dell’elettorato), che in condizioni normali, da incalliti proporzionalisti, avrebbero considerato antidemocratica al massimo: in materia elettorale, l’utilitarismo non paga, perché l’elettorato comprende dove si vuole andare a parare, e non tollera che si tenti di imbrogliarlo con marchingegni imperscrutabili, tanto da modificare spesso, conseguentemente, le proprie intenzioni di voto.
Così, se i partiti di maggioranza, ponendo mano in extremis al sistema elettorale, rischierebbero di costruire una vera e propria, involontaria, ‘operazione trionfo’ per il M5S sardo, non è detto che il tradizionale elettorato grillino continui ad apprezzare chi, pur di vincere, è pronto ad abdicare ai principi su cui aveva mobilitato per anni l’elettorato.
Caesar
(admaioramedia.it)