Arte e cultura sono il dividendo di un investimento economico. Mai stato il contrario, in nessuna storia dell’arte (locale o globale che sia). Per questo serve scindere il pubblico dal privato in qualsiasi ragionamento che finalizzi la produzione artistica al territorio.
Il pubblico è l’unico investimento possibile per il privato di una comunità, il pubblico può privatamente investire soltanto sull’idea di sé per stare su un mercato della cultura locale sempre più globalizzato, competitivo e iperconnesso. Il patrimonio culturale, non può automantenersi, ma genera reddito per tutta la comunità, un reddito indiretto che si muove verso la comunità. Un’Accademia di Belle Arti a Cagliari, sarebbe fonte di reddito e di rendita intellettuale nei secoli, non d’incremento ma di consumo che produrrebbe didattica e dialettica, linguaggi, processi e prodotti d’arte, che pone radici di linguaggi, che viaggiano con coscienza e consapevolezza.
L’Accademia di Belle Arti è struttura d’alta formazione, non indirizzata al profitto privato, ma al profitto opposto, quello della storia e del percorso della comunità. Non passa per il privato la grandezza storica di Cagliari e della Sardegna, il privato drena e depreda il pubblico, lo riduce a folk, a visioni di genere e luoghi comuni da cartolina. L’Accademia sarebbe l’argine possibile al folk come alla propensione ideologica, che spinge dall’alto culture e tradizioni verso interessi privati. Se Cagliari ancora non ha un’Accademia nel 2018, questo è avvenuto perché con il boom economico l’interesse privato è sgusciato e si è alimentato dentro chi ne ha amministrato il presente. In fondo, non è difficile arricchirsi in un’isola, dove si privilegia l’accesso alla cultura che ne determina la specificità e la ricchezza. L’isola ha posto tutta la sua autonomia al servizio della mentalità imprenditoriale (monoculturale) italiana, non ha pensato a porsi in condizione di autodeterminare una propria idea di pubblica produzione artistica, di partire dalla propria storia e cultura per farne ricerca di senso nel contemporaneo.
Si grida al successo culturale quando si spostano i propri menhir tra i sassi di Matera, quando si mostrano i Giganti di Mont’e Prama all’Expo di Milano tra le specificità culinarie. Non si ragiona su come far sì che i turisti li cerchino nell’isola. Si stanziano fondi per la mobilità in formazione senza arginare la fuga migratoria da Cagliari per fame di alta formazione artistica. Si celebrano in pompa magna artisti vetusti e defunti (che hanno come unico merito quello d’essere invecchiati e aver resistito sul posto) e non si crea un giovane dialogo e confronto generazionale con un’Accademia di Belle Arti che sia polo progettuale d’arte contemporanea, con ricaduta produttiva diretta nel territorio che vive. Cagliari è la capitale delle mostre furbe, talvolta sciatte e approssimative, talaltra raccogliticce, imposte da enti e fondazioni private e subite da un’Amministrazione pubblica priva di un’Accademia di Belle Arti con la quale interfacciarsi. Questo determina un territorio metropolitano, dove è sovrana la deregulation, dove è facile intuire un futuro con una crescita esponenziale della fenomenologia del “siamo tutti artisti” e delle mostre all inclusive.
Facile (senza un’Accademia) pensare a offerte espositive con sempre gli stessi medesimi ingredienti e palinsesti, da qualche anno a questa parte regna la moda della cultura mediterranea e dell’ermitage, l’idea programmatica di fondo è che tutto debba essere fruibile per tutti, che si debba mettere in scena una forma d’intrattenimento espositivo pseudocolto per chi non ha nessuna cultura artistica, ma vista la mostra poi può dire d’averla, un luna park della comprensione senza sforzo. In fondo non è molto complicato, attingere da fondi di magazzino di un museo e spostarli in un altro. Turisti, welcome to Cagliari, la città metropolitana dell’alta formazione artistica assente.
Domenico Di Caterino
(admaioramedia.it)