La Sardegna è costellata di strutture edificate migliaia di anni fa dalle genti che occupavano i territori costieri e dell’interno. Le dinamiche di insediamento sono note e ben studiate: individuare l’acqua, realizzare dei sentieri che collegano questa risorsa con zone coltivabili, mettere in sicurezza l’area, proteggere i confini, realizzare il villaggio.
Ogni insediamento ha, quindi, una sua storia ben precisa, e le genti che partecipavano alle varie fasi lasciavano tracce che oggi gli archeologi possono studiare per determinare i periodi di frequentazione, le attività locali, la religiosità, l’ideologia politica, il sistema di vita. Un passaggio fondamentale per ogni studioso è quello di individuare gli edifici sacri, quelli in cui è più facile trovare tracce significative. Nella nostra isola abbiamo un paesaggio con vegetazione bassa, generalmente collinare e segnato da numerosi ruscelli alimentati da sorgenti o dall’acqua piovana che si raccoglie a valle.
Gli edifici più caratteristici del periodo nuragico, quello che va dal XVIII al VI a.C., oltre 1000 anni, sono i nuraghi, i sepolcri e i pozzi sacri. Sono presenti, altresì, capanne di vario genere, con forme e grandezza che dipendono dalla funzione e dalle disponibilità economiche dei committenti. Per distinguere gli edifici sacri da quelli profani disponiamo di uno strumento empirico che offre la certezza quasi assoluta di non sbagliare: osservarlo attentamente nelle sue componenti architettoniche e nei contenuti. Tutte le strutture sacre presentano tre indizi inequivocabili sempre presenti insieme: acqua, oggetti votivi e raffinatezza costruttiva. La prima può essere presente in modo naturale (sorgente o falda sotterranea) oppure contenuta in vasche alimentate da canalette di vario tipo che convogliano la risorsa idrica dopo averla intercettata nelle vicinanze.
La presenza di offerte come bronzetti, armi, gioielli, preziose ceramiche o altro, indica chiaramente che il luogo riveste un’importanza ideologica legata alla religiosità. L’ultimo elemento è la bellezza architettonica e degli arredi interni (quando presenti). Quando si notano rifiniture, come conci lavorati accuratamente, simboli in rilievo, materiali pregiati accostati per abbellire l’edificio, equilibrio delle forme o elementi decorativi come colonne, stipiti levigati con cura, facciate d’impatto visivo o esecuzioni artigianali di elevata difficoltà, siamo davanti a strutture per le quali le comunità impiegavano notevoli risorse economiche. Quando i tre elementi (acqua, rifiniture di pregio e offerte votive) sono presenti contemporaneamente abbiamo la sicurezza di trovarci di fronte a un tempio. Naturalmente ciò avviene ancora oggi con le chiese, i cimiteri e altri luoghi di culto.
Pierluigi Montalbano (da “Quotidiano Honebu”)
(admaioramedia.it)