Nel quotidiano “L’Unione sarda” del 14 maggio, nella pagina della cultura, è stato pubblicato l’articolo “In memoria di Antonio Pigliaru la guida degli intellettuali sardi”, a firma di Giampiero Marras, mi ha lasciato esterrefatto. Leggo, infatti: “…nel carcere di Oristano dove Pigliaru venne rinchiuso dal regime fascista con l’accusa di spionaggio, guerra civile e cospirazione politica. Liberato, dopo quasi un anno e mezzo grazie all’amnistia Togliatti…”.
Vorrei ricordare che Pigliaru fu arrestato il 22 marzo 1944 in quanto componente del Comitato fascista regionale (ovviamente clandestino), tradotto prima nel carcere di Oristano, suo compagno di cella il futuro senatore del Msi, Gavino Pinna, e poi in quello di Alghero, dove contrasse quella malattia che lo avrebbe condotto alla morte a soli 47 anni. Fu accusato di associazione antinazionale, cospirazione mediante associazione per alto tradimento, tentativo di rivelazione di segreti militari al nemico, diffamazione a mezzo stampa, per aver messo alla berlina, nel giornale clandestino “La voce dei giovani”, una signora della buona società sassarese, rea di aver organizzato ‘illecite distrazioni’ a favore degli ufficiali alleati. Il 29 agosto 1944, il Tribunale militare della Sardegna, pubblico ministero Francesco Coco, magistrato assassinato dalle Brigate rosse nel 1976, cassò molti dei capi d’imputazione, tanto da suscitare le proteste del Comando militare alleato. Pigliaru se la cavò con soli sei anni di carcere.
Non occorre pensare che quel periodo sia stato per Pigliaru, da un punto di vista politico e culturale, un fatto estemporaneo da archiviare il più presto possibile. Uscito dal carcere, nel 1947, si iscrisse al Msi e, con tutta probabilità sono suoi gli articoli pubblicati nel periodico neofascista sassarese “Il quarantotto” con la sigla Alfa-Pigreco. Fondò poi con l’ex capitano delle SS italiane, il professor Salvatore Piras, la rivista “Ichnusa”. Ancora nel 1950, esattamente l’11 gennaio, così scriveva all’ex gerarca fascista Giuseppe Bottai: “Cospirando nel Sud a favore del Nord, e nonostante l’ultimo anno di fascismo storico mi avesse staccato quasi in toto dall’impegno di una fedeltà esteriore… praticamente non mi riuscì difficile restare nel carcere, dal lato di Gentile senza rinunciare a Bottai, forse nel principio d’istinto, ma poi a poco a poco con perfetta giustificazione e con più sufficienti argomenti”.
Angelo Abis
(sardegna.admaioramedia.it)