Cessate le celebrazioni per il cinquantenario della morte di Antonio Pigliaru si deve ancora una volta constatare come la cultura isolana abbia rigorosamente delimitato lo status del grande intellettuale orunese alla sola dimensione regionale.
Non che questa non sia importante. Opere come “La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico” e tutti i suoi saggi sulla società sarda e sull’autonomia, ne fanno l’intellettuale sardo più importante della Sardegna, ma non chiariscono del perché in Continente venne definito, in primis dal più grande esegeta del pensiero del filosofo Giovanni Gentile, Antimo Negri, “l’intellettuale sardo più stimolante dopo Gramsci”. Perciò, Pigliaru oltre ad essere il più importante esponente della cultura sarda, nell’ambito della cultura nazionale occupa un posto che è secondario solo a quello occupato da Gramsci.
Per inciso, Pigliaru arrivò ad inserire Gramsci nell’orbita del pensiero gentiliano, anticipando il filosofo marxista Diego Fusaro, che nel suo recente volume “Antonio Gramsci”, definisce, senza tanti giri di parole, Gramsci come allievo di Gentile. E’ quindi del tutto evidente che gli attuali celebratori hanno accuratamente evitato di parlare del fatto che Pigliaru è considerato tra i più importanti esegeti e discepoli di Giovanni Gentile e fanno testo il gran numero delle sue opere e pubblicazioni: “Saggio su Giovanni Gentile” (1949); “E suscitatore di interessi ancora vivissimi” (1949); “In tema di lavoro e di cultura, in Giovanni Gentile” (1953); “Esercizio primo sulle varianti dei fondamenti della filosofia del diritto in Giovanni Gentile” (1954); “Studi sul pensiero di Giovanni Gentile: a) fondazione morale della democrazia, b) Il lavoro e il nuovo umanesimo” (1954).
Forse, scottati da quanto scrisse l’intellettuale sassarese Federico Francioni, sulla rivista “Ichnusa” nel 1989, per il ventesimo anniversario della morte di Pigliaru: “Siamo di fronte a un ventennale che… rischia di riempire e coprire un vuoto di idee e di prospettive… Allo stesso tempo esiste il pericolo concreto che un anniversario, con un nuovo epitaffio, rimuova o addirittura cancelli il passato con i problemi che questo ha suscitato… Per scongiurare tale eventualità, occorre fare seriamente i conti, ancora una volta con Pigliaru. In primo luogo non si può dimenticare che Pigliaru si mantenne sempre fedele… al pensiero di Gentile. E’ opportuno che la ricerca storiografica faccia finalmente piena luce ad un tempo sulla Sardegna del 1943-45 e sulle concrete vicende che portarono Pigliaru in carcere.. E’ necessario, insomma, sottrarre la parabola del giovane Pigliaru ‘fascista’ alla rimozione, ai ‘si dice’, alla sfera dei gelosi ricordi personali… Una cosa è certa… il più importante intellettuale sardo di questo dopoguerra ha fatto proprio un pensiero morto: ‘La filosofia gentiliana resta quello che è, e fu, e parlare di un Gentile filosofo della libertà e della democrazia sarebbe come attraversare il mar dei Sargassi, facendo finta che sia un mare comune’… Tutto ciò… non deve farci dimenticare che cosa, storicamente, hanno significato e rappresentato la filosofia, la pedagogia… di Gentile. Al riguardo basti un solo esempio: la sua politica scolastica, profondamente autoritaria, di cui scontiamo ancora oggi le conseguenze. Pigliaru dunque si illuse, sbagliò di grosso sull’eredità del pensiero gentiliano. Rileggendo i passi più importanti di ‘Genesi e struttura della società’ – l’opera più compiuta della vasta bibliografia gentiliana – e sono parole del filosofo orunese – incontriamo… una visione gerarchica e classista del lavoro ed una rinnovata approvazione del corporativismo… Leggendo queste pagine… un brivido di paura non può non attraversarci la schiena”.
Accusando, quindi, Pigliaru di essere rimasto per tutta la vita tenacemente attaccato ai valori del pensiero gentiliano, anzi facendoli propri, sorvolando sul fatto che fossero valori autoritari, gerarchici, classisti. Di fatto, secondo Francioni, ammesso anche che Pigliaru avesse preso le distanze dal fascismo storicamente definito (cosa che avvenne molto tardi e in modo equivoco), ne aveva condiviso la sostanza abbracciando il pensiero di Gentile che di fatto ne costituiva il tratto essenziale. Ecco perché, cinquantanni dopo, i nuovi celebratori si son ben tenuti alla larga dal Pigliaru gentiliano.
Angelo Abis
(sardegna.admaioramedia.it)