Ritardo. Non esiste sostantivo migliore per identificare la questione sarda nell’arco di tutta la recente storia statutaria, ed ora anche l’Unione europea si è pronunciata assegnando alla nostra regione l’ennesima maglia nera degli ultimi anni, questa volta sotto il profilo dello sviluppo economico e strutturale. Infatti, dalle sedi europee dove si sta approntando il piano pluriennale di bilancio per il settenato 2021-28, la Sardegna è stata declassata dall’attuale rango di ‘regione in transizione’ a quello di ‘regione sottosviluppata’.
Già nelle scorse settimane il pericolo del declassamento, adesso concretizzatosi, veniva percepito quando la stampa (L’Unione Sarda, 19 aprile 2018) dava notizia del gap che l’Isola pativa nei confronti delle dirette concorrenti, cioè delle altre regioni insulari del Mediterraneo: la Sardegna registrava peggiori indici di Pil pro/capite (20.100 euro), e dunque di ricchezza prodotta per persona, rispetto ai cugini della Corsica, ai vicini delle Baleari e ai concorrenti maltesi e ciprioti. Peggio di noi facevano solo i siciliani (17.600 euro), colpiti dalla disastrosa gestione politica dell’ex governatore Crocetta. Qualcuno esulta per questo declassamento, visto che l’Ue nei suoi obiettivi per la cooperazione dello sviluppo delle diversi regioni degli Stati membri prevede di assegnare maggiori risorse a quelle realtà che patiscono le difficoltà peggiori. Maggiori risorse, però, non significano nuovi e migliori investimenti, perché per rendere effettivamente fruibili i maggiori fondi messi a bilancio occorre una società civile capace di sviluppare idee e progetti tali da ricevere questi finanziamenti e, nella nostra regione, già nel recente passato, non siamo stati in grado di vantare delle progettazioni adeguate capaci di sfruttare a pieno le opportunità fornite dalle istituzioni sovranazionali: oltre la metà delle risorse assegnate alla Sardegna nel 2014-20 sono infatti tornate al mittente.
In Sardegna, spesso, mancano le competenze di base per agire in maniera coordinata e puntuale per ottenere la liquidità messa a bando dalle Istituzioni, perché, fondamentalmente, manca la cultura necessaria non solo a costruire una visione moderna della (e nella) nostra terra, ma risentiamo pure una clamorosa carenza di accompagnamento all’euro-progettazione. Partendo da questi assunti, sarebbe bene attivare percorsi di formazione mirata, dove i cittadini siano messi in grado non solo di ‘leggere’ i bandi, ma anche di comprendere (studiando i ‘precedenti’ casi di chi è riuscito a realizzare grandi progetti mediante questo meccanismo) come riuscire a trasformare in opportunità concreta e reale la progettualità europea.
Di certo gran parte del disastro di questo declassamento è attribuibile alle scoordinate politiche perseguite dalla giunta Pigliaru. Una regione che non si dota neppure delle infrastrutture minime per collegare adeguatamente tutto il territorio regionale, difficilmente può sperare che l’impresa possa prosperare e creare vera e propria innovazione. Sì, perché è l’impresa – e non l’impiego pubblico o il welfare state (già da tempo l’Ue si basa sul contrapposto modello di workfare) – a creare maggiore ricchezza diffusa e fornire la concreta possibilità che i benefici da essa prodotti si ripercuotano adeguatamente nel territorio (e dunque sui cittadini). Se aggiungiamo poi che la Giunta regionale non sia stata neppure in grado di (ri)contrattare la scaduta continuità territoriale aerea, facendo pericolosamente arretrare la capacità dei soggetti di essere veicolati oltremare, di certo non si poteva sperare in un esito migliore di quello ottenuto col declassamento.
Il mercato europeo è costruito sui quattro principi cardine delle libertà di circolazione di merci, capitali, servizi e persone: è un mercato liberale, dove lo Stato deve fare tutto il possibile non per implementare regole e soffocare le opportunità, ma piuttosto per rimuovere quei legacci che possono imbrigliare lo sviluppo della libera concorrenza e dei benefici che essa porta. Negli ultimi anni si discute continuamente della questione dello spopolamento, spesso additato come uno degli effetti della sensibile contrazione economica: è vero in parte, perché lo spopolamento è sì condizionato dalla mancanza di prospettive, ma è anche vero che di certo non viene agevolato da un Ppr che permette ben pochi margini per poter edificare infrastrutture capaci di creare ricchezza. Senza queste infrastrutture essenziali per ‘fare economia’, il risultato non può che essere quello di emigrare per cercare altrove le prospettive che vengono qui negate: è il proverbiale cane che si morde la coda.
Arriveranno (potenzialmente), dunque, maggiori fondi per la Sardegna nei prossimi anni. Quello che possiamo fare già da ora è chiedere a gran voce alla Regione e alla Giunta regionale di impegnarsi con un grande piano di formazione che permetta agli attori economici di non trovarsi impreparati all’appuntamento del 2021, quando i nuovi piani di sviluppo prenderanno vita, così che questa sconfitta che oggi l’Isola tutta patisce sia colta per quello che è: un’opportunità per ripartire, per ridisegnare le proprie priorità, per darsi una forma (si spera competitiva) per il futuro. Con le prossime elezioni, invece, la speranza è quella che vengano trovati i giusti argomenti elettorali, da tradurre poi in atti formali consacrati dal Consiglio regionale nella prossima Legislatura, per parlare di sviluppo effettivo dell’Isola. La Sardegna non deve guardare allo stato sociale ed assistenzialista per il domani, ma se vuole preservare la propria identità, la propria ricchezza, il proprio territorio, deve essere capace di comprendere che un tessuto economico vivo si basa sull’impresa e sulla libera concorrenza fra gli attori economici che competono fra loro nelle logiche del libero mercato. Perché il pane condiviso di certo sfama nell’immediato, ma non è capace di creare quella provvista necessaria per vivere in serenità, sperando sempre che cada la manna dal cielo.
Stefano Musu
(admaioramedia.it)
One Comment
Marius Ioan Vasilescu
…”… lo spopolamento è sì condizionato dalla mancanza di prospettive, ma è anche vero che di certo non viene agevolato da un Ppr che permette ben pochi margini per poter edificare infrastrutture capaci di creare ricchezza …”… Ma il problema dello spopolamento della Sardegna non fu risolto col l’incoraggiare l’immigrazione clandestina e l’ulteriore integrazione !??? Mah…