Dalla Toscana alla Calabria, dieci faggete (boschi di faggio) ricche di piante secolari sono state di recente riconosciute come ‘Patrimonio dell’umanità’ dalla Commissione Unesco World Heritage, portando a 53 il totale dei patrimoni italiani, un record tra tutti i Paesi.
Con una superficie complessiva di oltre 2.000 ettari, costituiscono una delle zone più estese di un grande sito ‘diffuso’ che comprende riserve di faggi secolari di ben 12 Paesi, dalla Germania alla Croazia, dalla Bulgaria all’Ucraina, fino alla Spagna. Quasi tutte le faggete individuate in Italia fanno parte di parchi naturali, come quelle che si trovano sull’Appennino tosco-romagnolo e che fanno parte della riserva di Sasso Fratino, nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Scendendo nel Lazio, la provincia di Viterbo, che ospita ben due faggete secolari: quella del Monte Cimino, a Soriano del Cimino, e quella del Monte Raschio, nel Parco naturale di Bracciano-Martignano. Tra le altre faggete secolari riconosciute patrimonio dell’umanità ci sono quelle del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e, in Puglia, quelle della Foresta Umbra, con piante alte fino a 50 metri che si trovano nel cuore del Parco nazionale del Gargano. Tra Basilicata e Calabria c’è la Foresta Vetusta di faggio di Cozzo Ferriero del Parco nazionale del Pollino, che si estende per circa 70 ettari, con piante di quattro secoli.
E in Sardegna? Non ci sono le faggete, ma ci sono le leccete secolari (boschi di leccio) più importanti ed estese del Mediterraneo che oramai, vista la situazione ecologica ed ambientale legata al riscaldamento globale (global warming), costituiscono un vero proprio relitto di fondamentale importanza ecologica per tutto il Mediterraneo. Ma in Sardegna è capito tutto questo? Vengono considerati appieno tutti i più rilevanti aspetti ecologici ed evolutivi caratterizzanti molte di queste leccete?
Fortunatamente ancor oggi, dopo oltre mezzo secolo di tutela integrale dell’allora Azienda Foreste Demaniali, che le ha risparmiate dagli incendi e da tutti i tagli che fino ai primi anni ’50 del secolo scorso avevano continuato a sfruttare indiscriminatamente il resto delle foreste dell’Isola, di leccio o roverella non faceva differenza, per la sola produzione di carbone e legna da ardere, almeno cinque leccete ricche di piante secolari e vetuste potrebbero essere riconosciute e tutelate quali ‘Patrimonio dell’umanità’. Con una superficie complessiva di circa 20.000 ettari, dal Sulcis al Supramonte di Orgosolo, boschi secolari di leccio si estendono in parchi naturali regionali e nazionali come quelli del Sulcis (Gutturu Mannu), del Sarrabus (Sette Fratelli), dell’Iglesiente (Linas-Marganai) e del Gennargentu (Montes di Orgosolo e Montarbu di Seui) caratterizzandoli fortemente.
Tra le altre leccete potenzialmente riconoscibili e dunque tutelabili come patrimonio dell’umanità altre sono individuabili sempre nel potenziale Parco nazionale del Gennargentu-Golfo di Orosei, con piante alte fino a 30 metri nei versanti di Arzana, Villagrande, Desulo e Fonni, tutte con caratteri di vetustà insieme a boschi di roverella che tutti i più recenti dati a disposizione inquadrano oramai a carattere relitto e con una struttura a mosaico in cui la presenza di gruppi sempre più ridotti di alberi si associa a singole piante sparse che se non assolutamente protette sono destinate a scomparire per sempre. Ma in Sardegna questo si è capito o si pensa solo a tagli boschivi d’ottocentesca memoria?
Stefano Deliperi – Gruppo d’intervento giuridico
(admaioramedia.it)