“Oppo è legato nel profondo alla sua terra di origine, anche perché sente che certi aspetti del suo carattere, come la tenacia, la fedeltà, il coraggio e la franchezza appartengono alle sue radici sarde”. Così Francesca Romana Morelli descrive Cipriano Efisio Oppo, nato a Roma da famiglia di Ghilarza, un pittore di grande talento dimenticato e trascurato anche in Sardegna, dove peraltro nel 1930 aveva presieduto la prima mostra del Sindacato regionale fascista Belle arti. A Roma, nei Musei di Villa Torlonia, è in corso, fino al 4 ottobre, la mostra “Oppo. Pittura disegno scenografia”, curata dalla Morelli e da Valerio Rivosecchi. Pubblichiamo un articolo dedicato all’evento dal giornale on line Destra.it. (red)
Sorprende (ma non troppo) l’assordante silenzio che accompagna lo svolgimento della grande mostra romana dedicata Cipriano Efisio Oppo, uno dei protagonisti assoluti della scena artistica italiana durante il ventennio mussoliniano. Il personaggio fu infatti, con Marcello Piacentini, Giuseppe Bottai e Alessandro Pavolini, uno dei principali organizzatori artistici e culturali del regime: responsabile, con Carrà e Soffici, del Sindacato fascista delle Belle arti, nel 1931 creò la Quadriennale di Roma, la più imponente rassegna d’arte italiana del tempo, e l’anno dopo fu direttore artistico della Mostra della rivoluzione fascista. In quell’occasione, Oppo chiamò i migliori: Achille Funi, Marcello Nizzoli, Amerigo Bartoli e Mino Maccari, Giuseppe Terragni, Mario Sironi, Leo Longanesi, Adalberto Libera e Antonio Valente (il creatore del Centro sperimentale di cinematografia). Su sua iniziativa la vecchia facciata del Palazzo delle Esposizioni venne rivestita da una avveniristica ‘controfacciata’ tutta rossa, opera di Mario Renzi e Adalberto Libera.
Mentre i nazisti si scagliavano contro “l’arte degenerata” e Stalin decapitava il movimento futurista russo e accoppava i Babel, i Mandelstam e i Mejerchold, Oppo attraverso le quattro rassegne della Quadriennale (di cui fu segretario generale) mantenne aperto e fruttuoso un confronto con la modernità e le punte più avanzate della cultura artistica contemporanea internazionale. Il tutto col pieno consenso del Duce. Crollato il sogno mussoliniano, la dannatio memorie ha inghiottito inevitabilmente anche il buon Cipriano Efisio Oppo (‘colpevole’ per di più d’aver aderito alla Repubblica Sociale Italiana). Troppo ingombrante per essere ricordato dagli artisti che aveva protetto e sostenuto (Guttuso, il super ingrato in primis…) e dimenticato (per sbadataggine o ignoranza, chissà?) dai neofascisti, sul suo nome è calato per decenni il silenzio. Eppure Oppo non fu solo un (bravo e onestissimo) gerarca ma anche un ottimo artista, sebbene esercitasse con discrezione estrema.
Durante il regime scelse, visto il suo ruolo politico, di astenersi dall’esporre in Italia e preferì partecipare a mostre all’estero, a Parigi (1935) e a New York (1939). Da qui l’importanza della bella esposizione di Villa Torlonia. La mostra ricostruisce per la prima volta la personalità poliedrica del personaggio presentando una cinquantina di dipinti, disegni, bozzetti scenografici, costumi e documenti dell’epoca. Ne scaturisce un’immagine inedita, soprattutto nella notevole serie di ritratti, come quelli della pittrice Deiva De Angelis (1918 ca) e del banchiere Morin (1923), e nella galleria di figure femminili («Signora in rosso», 1927), che mettono a fuoco volti e caratteri della società dell’epoca, con momenti di straordinaria intensità psicologica. Formatosi nel clima della Secessione romana, Oppo ebbe una prima stagione ‘fauve’, rappresentata da opere come «Il ritratto di Rosso di San Secondo», «I pesci rossi» (1914 ca), ma già intorno al 1918 fu tra i sostenitori del ritorno alla tradizione italiana, rimanendo tuttavia attratto dalla pittura dell’Ecole de Paris (Matisse in primo luogo). Negli anni Venti e Trenta sono molte le tangenze con la Scuola romana, si pensi all’«Autoritratto» (1925), «Nudo sdraiato» (1928), «La vetrina della Comunione» (1939 ca).
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vmastrange
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