Ho acquistato alcune bottiglie di vino sardo con etichetta blasonata. Esteticamente molto belle, una di quelle volte in cui nulla è lasciato al caso: prodotto e marketing ricercato. Vino buono, prezzo alto, ma ci sta.
Mentre mi accingo a stapparle, in un rituale che crea aspettative tra gli amici ‘continentali’, che attribuiscono ad ogni prodotto generato dalla nostra terra un infinito valore aggiunto, vengo colta da un attacco di quella calangianesità repressa, che mi fa sobbalzare sulla sedia. Avvitato al mio apribottiglie si palesa un comune tappo di silicone, al posto di un sardo tappo da sughero. Come può una seria ditta produttrice di vini sardi non utilizzare un tappo d’eccellenza come quello naturale? Come può la virtuosa filiera del sughero interrompersi proprio nel momento più importante, quello della conservazione del vino in bottiglia?
Sono una Calangianese nel mio essere più profondo,come può essere chiunque abbia respirato da bambina l’aria nei cortili stipati da cataste di sughero a ‘riposare’, che ha giocato in strada con la schiuma che cadeva dai carichi di quella profumata corteccia ancora calda dopo la bollitura. Una Calangianese che ha vissuto quello stretto rapporto che esisteva tra la foresta e l’artigiano. Ero fra coloro che giocavano a nascondino dietro le balle di sughero, ancorate al terreno dai massi di granito posti contro il maestrale e sono tra quelli che, pur non avendo un’attività familiare legata a quel mondo, conosce la grossa crisi che stringe gli imprenditori del settore.
E mi sovviene allora il ricordo di mio padre, uno di quegli imprenditori che contribuì a far crescere la Sardegna, che invitava mia madre e tutti noi a fare acquisti tra i piccoli commercianti di paese, perché diceva “una mano lava l’altra, perché è tutta una partita di giro”. E’ tutta una partita di giro e anche la politica dovrebbe fare la sua parte. Allora mi chiedo: perché un prodotto d’eccellenza come il tappo di sughero sardo non debba essere utilizzato e valorizzato da chi produce vino sardo?
Le due cose devono indissolubilmente correre insieme, non ci deve essere aggravio di costi nell’utilizzare prodotti naturali col marchio Sardegna, ma anzi acquisizione di un ulteriore passo nella filiera, dal bosco alla tavola, sempre, con l’immenso valore aggiunto dell’artigiano e dell’imprenditore serio. Oggi, scriverò alla ditta produttrice di quel vino, informandoli che, con grande dispiacere dei miei ospiti continentali, non sarà più sulla mia tavola, ma confido molto sul fatto che, poiché il marketing è fondamentale nel mercato, questa mia sollecitazione possa far ravvedere qualcuno.
Biancamaria Balata
(admaioramedia.it)