Un piano per il lavoro. Ecco su cosa deve lavorare la politica sarda. Un progetto che sia possibile mettere in atto, di cui si sappia dove reperire le risorse e si possano prevedere gli effetti conseguenti. I numeri parlano chiaro: secondo i dati Istat, la disoccupazione in Sardegna è al 15%, minore rispetto al resto del Mezzogiorno italiano, in cui si attesta attorno al 19%, ma sensibilmente maggiore rispetto ai dati del Nord e del Centro Italia, in cui è rispettivamente al 6 e al 9. Rimane poi l’aspetto forse più drammatico, che è quello degli inattivi, di chi non cerca lavoro, ma soprattutto le persone talmente scoraggiate da aver smesso di cercare lavoro.
Dobbiamo, quindi, essere in grado di fare da una parte i giusti investimenti, ma con la consapevolezza che questi non potranno mai bastare: dall’altra è necessario un piano di defiscalizzazioni, che permetterebbe realmente di rendere più facile creare un’attività stabile. Basti pensare che già nel 2013 si era intervenuti sull’Irap, riducendolo del 70%. Tasse in meno per chi decide di continuare a tenere in piedi un’impresa ma su cui grava il peso delle imposte dirette e indirette. Laddove la Regione sarda potrà intervenire, sarà opportuno che ciò avvenga: ci sono ancora sacche di spesa pubblica che appesantisce la macchina pubblica regionale rendendo certi settori inefficienti. Insomma, meno sprechi, meno tasse, più investimenti.
Per esempio, un ottimo investimento era il Piano per l’occupazione e il lavoro giovanile, che permetteva a migliaia di giovani sardi di lavorare nella Pubblica Amministrazione: non solo quindi fare un’esperienza diretta con uno stipendio adeguato, seppur a tempo determinato, ma anche mettere nel curriculum l’attività svolta da far valere in un concorso pubblico come titolo. Investimento significa anche questo. Non pensare solo a riempire la pancia oggi, ma anche studiare e applicare il modo attraverso cui domani si potrà camminare con le proprie gambe. Questo implica ripensare tutto l’apparato industriale sardo, caratterizzato da un investimento pubblico che ha manifestato tutta la sua poca appropriatezza. Vogliamo un’industria pesante o un’industria che punti alla ricerca? Dobbiamo porci queste domande. Pensare al domani significa riprendere in mano la formazione professionale in Sardegna: siamo arrivati alla società che denigra i mestieri e ridicolizza l’artigianato. Investiamo anche su questo. Non possiamo pensare di avere una società in cui immense fette di mercato siano abbandonante a sé stesse, senza professionisti del mestiere e con una sovrabbondanza in altri settori.
La Sardegna quindi, che si pone di per sé in un posizione terza rispetto al Nord Italia e al Mezzogiorno, non può copiare sistemi di altre realtà, ma deve essere in grado di fare una propria proposta. Dobbiamo capire in che modo la Pubblica Amministrazione sta perseguendo la sfida della semplificazione e della digitalizzazione; dobbiamo inoltre recepire le istanze dei diversi settori, penso al mondo agricolo, ortofrutticolo e d’allevamento, alla pesca, all’artigianato. Dobbiamo, inoltre, riallacciare i nodi con i sindacati, che spesso non sono stati teneri, ma questo fa parte del gioco. Saper scendere dal piedistallo, dove si trova il mondo degli accademici, ci porrà in una posizione favorevole. Una politica forte dovrà mettere al primo posto dell’agenda politica la sfida del lavoro, per ridare speranza alla Sardegna.
Michele Pisano – Coordinatore regionale Gioventù Nazionale
(admaioramedia.it)