Più metri cubi portano più turismo? Mentre in Sardegna si discute (male) di urbanistica, la Svizzera ha recentemente varato un piano alberghiero da 1,8 miliardi di franchi, pari a 6 hotel di alta fascia, 42 condomini e 25 ville sull’Andermatt, grazie al gruppo Sawiris.
Ma torniamo alla domanda: più metri cubi portano più turismo? Si e no. Il quesito non ha alcun senso, perché? In primo luogo perché il mercato non è composto solo dalla domanda (il consumatore) ma anche dall’offerta (l’azienda alberghiera). Cosa significa? Che se i tuoi metri cubi sono inadeguati (o troppi pochi, od obsoleti, o entrambe le cose), diventerai appetibile solo per la fascia di utenza che ti è possibile raggiungere. Esempio: se hai un hotel risalente agli anni ’60, privo di servizi e in un’area scarsamente appetibile, il valore del tuo investimento sul mercato ha scarse possibilità di affermazione. Dunque, che tu abbia 2mila metri cubi o 50mila metri cubi – serviti o non serviti da trasporti efficienti – non fa alcuna differenza. Il grado di qualità è dunque tra i principali fattori che denotano la natura dell’offerta, e la capacità di rivolgersi ad un bacino di utenza piuttosto che a un altro. Ad esempio, oggi, in località come la nostra, le opere più recenti si avvicinano, ma non rispondono compiutamente, agli standard correnti sul mercato. Questa tipologia di costruzione riguarda il resort, ossia una struttura che si dispiega in orizzontale, su diversi metri quadri. Ciò rende fuori luogo le teorie di chi magari pensa sia remunerativo restaurare vecchi hotel, magari presenti in aree urbane scarsamente attrattive, sviluppati secondo concezioni diverse (le tipiche palazzine, per intenderci). Secondariamente, è altrettanto ovvio che più metri quadri di qualità, cioè costruiti ex novo, potrebbero attirare fasce diverse e più ampie di turisti rispetto alla condizione attuale.
Gli svizzeri, che a differenza nostra non hanno architetti ambientalisti prestati all’economia e alla finanza, hanno scelto i fatti alle chiacchiere. In terzo luogo, ma non meno importante, dobbiamo considerare il dato principale emerso quest’anno sulle presenze sarde, su cui ogni studio dovrebbe orientarsi (pena l’assoluta inattendibilità): i 20 Comuni costieri dell’isola dotati di strutture ricettive maturano quasi l’80% delle presenze sarde. Ciò significa alcune cose. Il turista che sceglie la nostra destinazione non viene unicamente per il mare, ma anche per il potenziale servizio connesso a tale mare (l’offerta piaccia o non piaccia, ha dunque un suo ruolo). Se ciò non fosse vero, la distribuzione geografica dell’utenza sarebbe spalmata in modo diverso sulla fascia costiera. Il numero di posti letto è spaventosamente basso rispetto ai nostri diretti concorrenti nel Mediterraneo occidentale. L’offerta è dunque bassa, sia per qualità che per quantità. Se ad esempio volessimo comparare la sola quantità, il solo Oristanese, che ha un’estensione geografica simile a Maiorca, gode di appena 12.300 posti letto. Maiorca invece oltre 430mila. Un abisso. Il Ppr inoltre ha cristallizzato questa situazione antecedente al 2006, anno della sua adozione. A distanza di 12 anni, le presenze continuano a concentrarsi nei comuni che ebbero la possibilità di edificare ex novo (quindi nuovi metri quadri).
Dunque arriviamo alla domanda corretta: in Sardegna nuovi metri quadri hanno sviluppato il turismo? La risposta è si, in prevalenza fino al 2006. Da allora il numero di presenze è a grandi linee similare al presente. Ulteriori metri quadri svilupperebbero il turismo? Si, se l’obiettivo è quello di superare la vecchia concezione edilizia/ricettiva e di colmare i ritardi rispetto al mercato.
P.S.= Ovviamente nei convegni ambientalisti, oltre alla mancanza di neuroni, non troverete qualcuno che parli di obsolescenza delle strutture, né di distribuzione geografica del turismo. Altrimenti finirebbe a dover parlare di offerta, e questo manderebbe in vacca le loro astruse teorie interamente incentrate sulla domanda.
Adriano Bomboi
(admaioramedia.it)
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Giorgio Lunardi
Teste di cemento