C’è una Sardegna nascosta agli occhi della maggior parte della società civile, un mondo composto da tradizioni ma anche di innovazione, di enorme capitale umano e culturale in attesa di essere messo in moto dal conseguimento di politiche fattive di sviluppo e di sana programmazione territoriale da parte di una classe dirigente capace di farsi portatrice di quel cambiamento tanto atteso.
I dati sullo spopolamento della nostra terra sono allarmanti, parlano di un trend di fuga dalla madrepatria capace di far tremare i polsi; i territori già in profonda difficoltà seguono un’emorragia sintomatica dipesa anche dall’incapacità della Giunta regionale di invertire questa tendenza con delle politiche di sviluppo capaci di creare (o meglio, ricreare) quelle condizioni necessarie all’investimento sostenibile delle risorse sia finanziarie che legislative per rilanciare una terra che avrebbe ancora tanto da dire ma che non riesce ad esprimere le sue potenzialità.
Da troppi anni rileviamo mestamente, impotenti, la perdita di servizi che sono necessari agli obiettivi che tutti, a parole, cercano di conseguire. Primo dei grandi problemi che inficiano la ripresa è certamente il nodo trasporti: una regione che non riesce a comunicare e mettere in relazione i territori all’interno dei suoi confini naturali, di certo non può approfittare di quello scambio di capitale umano tra Cagliaritano e Sassarese, tra Campidano, Ogliastra, Barbagia e Sulcis (solo per limitare gli esempi), capace di generare un trend positivo che porterebbe all’accrescimento della vivacità regionale. Una Sardegna che viaggia lenta su gomma e rotaie è di sicuro una regione che si limita a circoscrivere la propria capacità economica al provincialismo, alla micro e piccola impresa dal giro di affari troppo esiguo per fondare la propria speranza nella nascita e crescita di progetti d’insieme che sappiano parlare i diversi dialetti della limba.
Analogamente, la fuga delle compagnie aeree e il taglio delle tratte da e per la Sardegna costituiscono un fortissimo discrimine che non permette la costruzione di un tessuto interregionale capace di espandere il patrimonio di conoscenze al di fuori dell’Isola, di confutare e conoscere mondi imprenditoriali profondamente diversi dal nostro, in definitiva non permette al patrimonio culturale di circolare facilmente e che queste idee vengano poi introdotte con frutto nella nostra terra dopo essere state discusse ed elaborate nel confronto con mentalità e mondi culturali altri rispetto alla visione ristretta del piccolo imprenditore. Che, naturalmente, non può essere colpevolizzato per la mancanza di coraggio, di lungimiranza, di efficienza.
In uno Stato dove la piccola impresa è ipertassata, bistrattata e non incentivata, unendo le questioni di scarsa mobilità, non si può pretendere che da solo possa costruirsi una ‘rete di opportunità’, perché questo è il dovere della politica che attraverso le sue Istituzioni dovrebbe cercare di approntare quegli strumenti utili al fine di essere sfruttati dal piccolo imprenditore per tessere trasformati in opportunità sia per se stesso che per il suo territorio, portando nel medio periodo una ricaduta positiva sia sotto il profilo economico che occupazionale. Questo fungerebbe da incentivo per i giovani per il proseguimento fruttuoso degli studi, perché essi stessi fra pochi anni possano possedere un bagaglio culturale capace di alimentare questa spirale positiva. Trasporti da una parte, idee dall’altra. Integrando queste due variabili la Sardegna potrebbe davvero proseguire sulla via del progresso senza passare da quella della desertificazione. Come sempre la politica è l’unica tecnologia in grado di muovere i fili giusti del teatrino per perseguire questi fini, speriamo lo si faccia prima che i burattini scappino via.
Tigellio
(admaioramedia.it)