Il teatrino della nomina del coordinatore regionale di Forza Italia ha conosciuto un’altra triste pagina. Pochi mesi fa, dopo l’elezione alla Camera dei deputati, Ugo Capellacci, rassegnava le proprie dimissioni, definite da lui stesso “irrevocabili”, per “fare un passo di lato e permettere il rinnovamento del partito”.
Nessuna comunicazione ufficiale, però, era provenuta dalle parti di Arcore e una lotta intestina stava facendo emergere i diversi profili che avrebbero potuto concorrere per la carica, fondamentale per inseguire il nuovo corso in vista delle elezioni regionali del febbraio prossimo. Pochi giorni fa, i consiglieri regionali azzurri firmavano un comunicato stampa ed una richiesta di incontro a Berlusconi, invitando il Presidente a fare chiarezza sul punto, invocando quel cambiamento auspicato dall’ex Governatore sardo, che, dopo pochi minuti, rispondeva, anche lui a mezzo stampa, agli ex colleghi del palazzo di via Roma, sempre inneggiando al necessario rinnovamento senza mettere pressione al ‘Cavaliere‘, visto che il partito era operativo sul territorio per mezzo della sua figura, operativa anche se dimissionaria. Infine, domenica sera, Cappellacci ha fatto sapere di voler ritirare le dimissioni dopo un confronto con il presidente Berlusconi.
In Sardegna non è un mistero che tutti auspicano un rinnovamento, ma che questo rimanga tale solo a parole: per esempio, nelle liste civiche che si stanno formando non verrà dato spazio ai giovani, ma solo a persone che già ricoprono cariche elettive a livello locale. Il grande errore del centrodestra del cosiddetto ‘rinnovamento’ è non comprendere come sia necessario, per contrastare le orde grilline e un ampio voto di protesta, cambiare i volti della politica regionale, svecchiare l’età anagrafica, inserire nella corsa persone valide e giovani (veramente giovani, non quarantacinquenni ‘giovanili’) che possano restituire una freschezza perduta ormai da lustri. Affidarsi agli amministratori locali fornisce un’illusione, affidandosi a persone solide territorialmente per cumulare migliaia di preferenze che sommate a quelle del candidato presidente (chiunque egli sarà) producono i quozienti delle liste, utili per l’attribuzione dei seggi nel futuro Consiglio regionale. Quello che però i consiglieri regionali, e chi tesse le file di questa partita anomala (dove Forza Italia è confinata all’angolo e la Lega non è sicuro possa correre assieme al centrodestra storico), sembrano ignorare è che gli amministratori locali sono tanto amati quanto odiati: il cumulo di preferenze nominali non saranno sufficienti se mediante il voto disgiunto i pentastellati saranno premiati pur non potendo contare su candidati ‘forti’. Quindi, l’assunto ‘voto personale=voto per il presidente’ può diventare una pericolosa convinzione, passibile di essere sconfessata dalle urne, che spinge ad evitare il vero rinnovamento, possibile solo inserendo forze fresche all’interno della partita.
Le dimissioni ritirate di Capellacci dimostrano il forte limite dell’attuale classe dirigente, così ingabbiata nell’amor proprio, che risulta essere incapace di comprendere la portata nel futuro del loro spasmodico attaccamento alla poltrona e alla politica da palazzo, miopi di fronte all’eventualità che, in un domani sempre più prossimo, non ci sarà più alcun potere da spartire, alcuna decisione da condividere, alcuna poltrona da dividere o contendersi. La partita delle regionali, virtualmente vinta dopo cinque anni sciagurati di amministrazione Pigliaru, si sta trasformando nel peggiore boomerang della storia del centrodestra isolano e sappiamo già chi saranno i mandanti della ‘morte elettorale’ della coalizione: coloro che, a vario titolo, hanno detenuto il potere negli ultimi anni e non vogliono perderlo a tutti i costi. Il risultato sarà quello opposto.
Tigellio
(admaioramedia.it)