Per chi frequenta anche sporadicamente Cagliari è diventato abituale notare il notevole incremento del commercio ambulante in città. Ogni giorno centinaia di venditori stazionano con improvvisate bancarelle o addirittura ponendo la merce sui marciapiedi fuori dalle loro automobili, nei punti più attrattivi per il passaggio dei cittadini.
Un po’ per ricordare i vecchi tempi del libero commercio e un po’ perché attirati dalla freschezza dei frutti di stagione e dalla possibilità di ‘dare una mano’, a chi (evidentemente) vende per legittimo bisogno di guadagnare, si vanno animando piccole code nelle strade, in attesa di essere serviti.
In un periodo di forte recessione economica, in tanti sentono l’esigenza di ‘inventarsi un mestiere’, nonostante il rischio dato dall’esposizione della merce senza autorizzazioni di sorta e, nella grande maggioranza dei casi, senza neppure fatturare un singolo euro al giorno. L’economia, si sa, avrà sempre una porzione di sommerso a sostenere il giro economico e difficilmente si potrà porre fine a questo fenomeno. Per quanto possiamo provare un umano, enorme, rispetto per le persone che decidono di darsi da, fare piuttosto che far morire di fame i propri figli (o, peggio, cercare di procurarsi illecitamente i beni di cui essi abbisognano), sarebbe il caso di riflettere con maggiore puntualità sul danno che l’abusivismo arreca a chi è commerciante perché risulta in regola con le (abbastanza stringenti) normative statali.
I commercianti rappresentano una fetta importante del tessuto economico italiano, oltre che isolano. Pagano decine di migliaia di euro di tasse annualmente e, spesso, non riescono neppure a cavar fuori un ragno da un buco dalla loro attività che è divenuta ogni giorno più complessa e difficile: l’e-commerce, i grandi magazzini, le offertissime delle varie catene nazionali ed internazionali rischiano di decretare la morte del ‘commerciante di fiducia’, quella figura che spesso identifica una strada, un quartiere, una porzione di territorio, proprio a testimoniare quanto il commercio non sia un fenomeno esclusivamente economico ma anche e soprattutto un fattore di interazione umana.
I commercianti regolari sono alle corde: da una parte la diminuzione del potere di acquisto ha determinato una brusca contrazione della domanda, d’altro canto gli affitti dei locali che ospitano le attività sono stabili (se non in rincaro, specie nelle vie più in vista) e le normative in materia di igiene e conservazione dei prodotti inducono il commerciante ad investire una parte consistente del proprio profitto per adeguarsi alla legislazione, al fine di non rischiare sanzioni che, spesso, sono veramente salate.
Le regole valgono per tutti? Non è facile determinare quale logica spinga a preferire una parte (quella in regola col possesso dei requisiti richiesti per essere ‘commercianti’) piuttosto che per l’altra (quella ‘abusiva’ che non sappiamo se rispetti i criteri di cui sopra). I commercianti regolari, pero’, sono continuamente vessati dallo Stato che chiede loro uno sforzo incredibile per continuare ad avere la titolarità delle attività che spesso producono profitti con cifre modeste, piuttosto che contrastare il fenomeno dell’abusivismo.
Una soluzione ci sarebbe: ridurre il carico fiscale per i regolari permetterebbe, forse, anche di chiudere più facilmente un occhio nei confronti degli abusivi per necessità. Perché si sa, il cliente acquista dove vuole, ma se lo Stato non assicura uguale giustizia sta condannando uno degli attori economici a morte lenta (ma sicura) con il rischio che domani gli abusivi supereranno i regolari. E ciò, per lo Stato, sarebbe un problema difficile da risolvere.
Tigellio
(admaioramedia.it)
One Comment
Alessandro
Sono d’accordo. Troppe tasse.
In questo caso saranno pur sempre legali (perché previste e giustificate da apposita Legge) , ma comunque illegittime (perché sostanzialmente spropositate rispetto al profitto d’impresa).
In questa situazione l’abusuvismo non va visto come un atto di “furberia”
per non pagare le tasse , ma va visto per la sua vera natura, ovvero come l’ultimo espediente possibile per sbarcare il lunario ed evitare che il frutto del del proprio lavoro venga “legalmente sottrato” dall’imposizione fiscale.