Nelle prossime settimane sarà in libreria il nuovo libro di Angelo Abis e Giuseppe Serra: “Neofascisti. Le origini del Movimento Sociale Italiano in Sardegna (1943-49)“ (196 pagine, edito da Macchione Editore Varese). Abis già autore di "L’ultima frontiera dell’Onore. I Sardi a Salò (2009) e "Il Fascismo clandestino e L’epurazione in Sardegna. 1943-46" (2013), mentre Serra ha mandato alle stampe “Le origini della destra in Sardegna. Il partito dell’Uomo qualunque (1945-56)” (2010). Pubblichiamo in esclusiva un ampio stralcio dell’introduzione firmata dallo storico Giuseppe Parlato, presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice. (red)
I due autori si cimentano in un’altra ricerca che costituisce in qualche modo il quarto volume di un ideale percorso storiografico sulla destra sarda o, per meglio dire, su quella parte di opinione pubblica che si collocava al di fuori di quello che poi verrà chiamato “arco costituzionale”: contro il ciellenismo, contro la sconfitta, contro il cedimento al comunismo. A ben vedere, i soggetti presi in considerazione (fascisti repubblicani, qualunquisti e neofascisti) erano fra loro molto diversi; erano anche assai diversi al proprio interno, ma questo è un discorso che poi si riprenderà. Molto diversi come formazione culturale (almeno i qualunquisti), molto diversi nella logica politica (i qualunquisti erano di fatto liberali, la Rsi voleva essere di sinistra, il Msi si collocò subito a destra), molto diversi anche nelle modalità di leadership. Tuttavia, tali diversità non possono essere troppo enfatizzate, perché le diversità si accentuano e diventano importanti quando si è al potere; quando si è all’opposizione si cerca di attenuare le diversità e si tenta di fare fronte contro il nemico comune. Nemico che, in questo caso, è il comunismo, principalmente, ma che può essere anche – e fu anche – tutto il mito antifascista, dalla Resistenza alla Costituente fino alla partitocrazia e alla ghettizzazione delle minoranze…
Gli Autori hanno ripreso un tema delicato e sul quale sono necessarie ancora tante ricerche e studi approfonditi, ma soprattutto hanno affrontato un importante e significativo settore ancora poco frequentato, quello della storia locale della destra. Già dal titolo, mettono in chiaro una questione: questa non è solo una storia delle origini del Msi ma anche, e forse soprattutto, la storia delle eterogenee formazioni che si costituirono all’indomani del 25 aprile, anche in Sardegna, per continuare il discorso ideale che la guerra e la sconfitta avevano interrotto. Quindi, neofascisti. Il termine, si sa, non piace a tutti. Ma qui sia chiaro che lo si usa non per indicare coloro che volevano a tutti i costi rimettere al potere il fascismo in qualche forma. Questa è una delle poche cose che ai neofascisti era chiarissima: morto il Duce non vi era possibilità di continuare a governare in nome del fascismo, anche e la situazione fosse stata diversa. E, oltretutto, la situazione era quella della resa dei conti.
Neofascismo è un termine che si usa correttamente per indicare non tanto un movimento quanto il sentimento diffuso di una comunità umana prima che politica, la quale, privata della possibilità di gestire il potere, si accontentò di vivere nell’opposizione e nell’emarginazione il proprio sentimento politico. Il termine “sentimento” non è casuale poiché i neofascisti misero prima il sentimento poi la ragione nelle loro scelte politiche. Il riferimento al fascismo costituiva la costante, la stella polare del loro percorso. Potevano essere più o meno nostalgici, potevano riconoscere (lo avrebbero fatto negli anni a seguire) la validità della libertà e della democrazia, almeno come metodo, visto che entrambe garantivano a un movimento che certamente non aveva simpatia per il metodo democratico – pur avendo applicato al proprio interno le regole della democrazia – quella libertà indispensabile per vivere e qualche volta per sopravvivere.
In questo volume, che tratta delle origini del neofascismo, il ruolo del fascismo come ricordo, come nostalgia, come rivendicazione, è sicuramente molto forte. Così come era forte, anche in Sardegna, la convinzione che la guerra civile aveva provocato ingiustizie e danni, aveva eliminato una classe dirigente ma soprattutto aveva determinato nei neofascisti la convinzione di essere emarginati, rifiutati da quella patria di cui si sentirono “esuli”, secondo la bella espressione di Marco Tarchi. Il percorso dal neofascismo al Msi in Sardegna è piuttosto complesso… Il volume di Abis e di Serra dettaglia tutti i momenti fondativi della storia della Fiamma sarda: con una suddivisione per provincia, passano tutti i dirigenti, le sezioni, i momenti di prima aggregazione del Msi. La nascita della Fiamma avvenne in Sardegna nella seconda metà del 1947 ad opera di chi era transitato dal fascismo clandestino ai partiti “ombrello”. Se a Cagliari il Msi è dichiaratamente di destra, con forti venature cattoliche, almeno nella sua strutturazione originaria, in provincia di Sassari già si notava la spaccatura fra un vertice moderato e di destra e una base giovanile ostile ai compromessi con le forze borghesi. Ottima la scelta di dedicare alla stampa periodica il terzo capitolo della ricerca… Molto spazio, giustamente viene dato nella ricerca alle elezioni del 18 aprile, allorché il Msi dovette resistere alla ondata democristiana, in chiave nettamente anticomunista e con la volontà di recuperare tutto il possibile a destra. Dal punto di vista tattico, fu indispensabile in quella occasione puntare sugli elementi identitari: la socializzazione, il richiamo reducistico alla Rsi, lo Stato nazionale del lavoro, la rivendicazione degli elementi positivi del regime, la rivalutazione del sindacalismo fascista, un moderato terzaforzismo per segnalare la necessità della difesa nazionale contro la politica dei blocchi. Ogni altro richiamo moderato sarebbe stato sopraffatto dalla potenza organizzativa ed economica della Dc. L’esito, come in tutta Italia, non fu lusinghiero. La Sardegna diede alla Fiamma qualcosa in più del dato nazionale: invece del 2%, il Msi sardo ebbe il 2,77%, con punte maggiori a Sassari che a Cagliari, con una prevalenza nelle città che nelle campagne.
La vita successiva fu segnata dalle polemiche interne, nelle quali prevalse la linea moderata anche se i congressi provinciali fecero vincere sempre candidati che si schierarono con Almirante anche non condividendone la linea politica. Un fenomeno curioso, questo, ma non soltanto sardo. Il fascino e il carisma di Almirante erano unici e molti ne erano conquistati; dal punto di vista politico però manifestavano posizioni micheliniane e quindi aperte al dialogo con la destra e con i monarchici in particolare. Questa politica diede i suoi frutti nel 1949 in occasione delle elezioni regionali nelle quali il Msi triplicò i voti, attestandosi nelle città a livelli tra il 9% e il 17%. Un successo clamoroso confermato dall’exploit dei monarchici: insieme le due forze riuscivano a raggiungere il 25%. Chiude la ricerca una serie di profili degli uomini più significativi della destra sarda che sono assai utili al lettore perché offrono ulteriori elementi per potere meglio comprendere la complessa realtà isolana.
Giuseppe Parlato
(admaioramedia.it)
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