Riflettere e confrontarsi sulla presenza delle Forze Armate in Sardegna e sui vantaggi, in termini di ricadute positive, garantite alla nostra terra, è un dovere a cui la politica non può sottrarsi. Con il confronto è possibile comprendere se si può guardare all’Esercito come a una risorsa e non soltanto come a un ostacolo per lo sviluppo. Ed è bene partire dal presupposto che le condizioni attuali sono profondamente mutate e la tecnologia, anche militare, ha fatto passi da gigante. Ecco perché non possiamo più rimandare una riflessione seria sul reale impatto delle Forze Armate nella nostra Isola, sgomberando il campo da fraintendimenti e disinformazione.
Se gli attori coinvolti si confrontano senza pregiudizi di sorta, allora è bene valutare, con onestà intellettuale, il progetto Siat: sistema innovativo destinato all’addestramento simulato dei militari che in previsione coinvolgerà il poligono di Capo Teulada. Il Siat significa ingenti investimenti economici capaci di generare a loro volta importanti ricadute sull’intera isola (non soltanto nelle comunità locali): occupazione e benefici per la nostra terra non solo legati ai servizi di ristorazione, ma anche alle piccole imprese che, soprattutto nel Sulcis, sono in grande affanno; significa favorire lo sviluppo di intrinseci e innumerevoli vantaggi e opportunità di crescita per le possibili forme di cooperazione/collaborazione con gli enti di ricerca (Sardegna ricerche e Crs4) e gli Istituti universitari di Cagliari e Sassari che, per di più, aiuterebbero la Sardegna a uscire dall’isolamento geografico e culturale in cui rischia di precipitare. E ancora: con il Siat si assisterebbe al potenziamento della Brigata Sassari, all’utilizzo a scopi civili delle proprietà del Ministero della Difesa e alla riduzione sensibile del munizionamento reale di vario calibro sparato, a vantaggio dell’ambiente. Ciò significa che la concretizzazione del Siat garantirebbe una riduzione del 30% del carico di fuoco. Un dato che assicura almeno due vantaggi immediati: la salvaguardia dell’ambiente e l’utilizzo delle aree su cui ricadono le servitù a scopi civili anche in costanza delle esercitazioni militari. Siamo di fronte a traguardi fino a poco tempo fa inimmaginabili, che non possiamo sottacere: dobbiamo valutarli con onestà.
Ma c’è ancora un altro aspetto che va considerato nella sua interezza: l’Italia, oggi più che mai, valutato il periodo storico e i conflitti alle porte del Mediterraneo, non può permettersi di rinunciare all’addestramento dei militari e il Poligono di Capo Teulada è una vera e propria palestra che come tale va considerata. Noi dobbiamo puntare sulla sicurezza dei militari impegnati nelle missioni di pace, garantendo un esercito preparato nel migliore dei modi. Per questo ancora una volta faccio appello al senso di responsabilità istituzionale, cui oggi è chiamata la classe dirigente sarda, affinché si apra un dialogo con il Comando Regione Militare e con lo Stato Maggiore dell’Esercito attorno al progetto Siat. I rapporti tra la Regione e gli organi militari sono oggi in difficoltà a causa di un vero e proprio cortocircuito istituzionale, cui bisogna porre rimedio trovando un punto di incontro, un tavolo comune. Perché offrire garanzie alle Forze Armate in Sardegna è per la politica un dovere irrinunciabile. Non possiamo dare ascolto alle sirene suonate dagli antimilitaristi di professione, che a giorni alterni montano ad arte la solita polemica sulla dismissione delle basi militari, trascinando la politica nel terreno della contrapposizione stucchevole tra militaristi e antimilitaristi. La Regione ne prenda atto e agisca di conseguenza, decidendo una volta per tutte sul progetto Siat. E si tenga bene a mente che ci sono Regioni italiane pronte ad accaparrarsi il progetto. Se questo dovesse accadere, sarebbe l’ennesima beffa a danno dei sardi.
Ignazio Locci – Vicepresidente del Consiglio regionale della Sardegna
(admaioramedia.it)