Bisogna risalire all’inizio dell’anno per rintracciare le ultime precipitazioni di una certa entità nel Sarrabus. Si si sono registrati 135 millimetri di pioggia nel mese di gennaio, qualche pioggerella è caduta anche a febbraio (32 millimetri), e da allora la terra e tutto quanto contiene soffre la sete.
Nelle campagne a soffrirne di più sono gli uliveti: “Abbiamo avuto un calo di produzione del 70 per cento ma sono molto preoccupato anche per la sorte delle piante – dice Pierangelo Cimetti, titolare dell’azienda olearia San Tomas di Castiadas – Il caldo eccessivo patito in fioritura ha fatto abortire gran parte dei piccoli frutti. La lunga siccità sta prosciugando i nostri pozzi e abbiamo dovuto razionare l’acqua del 50%, le piante stanno soffrendo e non sono sbocciati i germogli per la prossima produzione”.
Va peggio per un altro olivicoltore, Cesare Congera, che ha un’azienda di 700 piante ai piedi del bosco di Castiadas. “Non piove, l’acqua che scendeva dalla foresta è finita, e le piante sono quasi seccate – racconta – quest’anno per la prima volta in vita mia debbo comprare l’olio per casa. Cose mai viste: le piante dei fichi d’india si sono accartocciate, sono seccati gli oleandri; capre e cervi che attraversano per andare a pascolare nei giardini della chiesa, cinghiali che scavano nei formicai e nemmeno scappano tanto sono magri”.
Infine salutando, ci invita ad osservare la penosa situazione che si sta consumando nel vicino bosco. Poco dopo ci addentriamo nel cuore della foresta, saliamo lungo il Sentiero Italia (un luogo emblematico per il suo verdeggiare) che da Castiadas porta a Campuomu. Lo scenario è deprimente, il suolo si sta desertificando, e non c’è un filo d’erba fresca, i ruscelli sono asciutti come pure le sorgenti. Soffre il regno dei funghi e ne risente il delicato ecosistema a cui è collegato. Tutti gli olivastri sono ingialliti, il mirto è secco e le pochissime bacche di corbezzoli stanno cadendo senza giungere a maturazione. Non c’è un tordo che zirla o un colombaccio che vola e nessun cinguettio. Nell’aria c’è un cupo silenzio, mentre la selvaggina soffre la sete e la fame.
Fermare la caccia? Due giornate del calendario venatorio sono state già abolite, insistere vorrebbe dire anche dover restituire parte dei soldi della licenza ai cacciatori.
Somministrare acqua e cibo alle bestie selvatiche? Gli addetti conoscono la situazione, ma c’è da avviare progetti, fare sopralluoghi, indire appalti, firmare autorizzazioni e poi aspettare, aspettare. Per gli animali meglio abbandonarsi e morire dignitosamente nel bosco.
Angelo Picariello
(admaioramedia.it)