Il cosiddetto Decreto sicurezza, convertito in legge dal Parlamento alla fine dell’anno scorso, è finito sul tavolo della Corte costituzionale dopo il ricorso di alcune Regioni ‘di sinistra’, fra le quali la Sardegna. Una scelta tecnica, secondo molti, perché consente di sottoporre la questione direttamente alla Corte e quindi di accorciare i tempi senza aspettare il passaggio interno ad un procedimento ordinario.
In attesa di sapere come si orienterà il ‘giudice delle leggi’ si è sviluppato un dibattito, politico e non, sui punti più controversi del provvedimento. Uno di questi potrebbe apparire di forma, ma finisce per essere di molta sostanza ed è riferito all’interpretazione dell’articolo 117 della Costituzione che, in una parte, assegna allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordine pubblico, sicurezza ed immigrazione e, in un’altra, prefigura forme di coordinamento fra gli organi centrati e periferici dello stesso Stato. Va da sé che scegliere una opzione o l’altra determina conseguenze opposte, ben sapendo che nella ‘culla del diritto’ alla fine trova posto anche il rovescio.
L’altro riguarda il sistema Sprar, meglio conosciuto come quello dell’accoglienza diffusa che, nelle intenzioni del Decreto, subirebbe una stretta perché potrebbero accedervi solo i titolari di protezione internazionale ed i minori non accompagnati, una minoranza rispetto al numero complessivo di migranti presenti sul territorio nazionale. Per gli altri, che finora potevano ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari (presente solo in alcuni Stati della Unione europea e non contemplato dalla normativa internazionale), ci potranno essere solo permessi ‘speciali’ temporanei in presenza di condizioni molto dettagliate, finora oggetto di interpretazioni giurisprudenziali molto diverse: salute, calamità naturali, situazioni di tratta di schiavi e sfruttamento, violenza domestica, atti di valore civile. Nella fase di transizione, inoltre, i migranti impegnati nei progetti Sprar li porteranno a termine.
Quest’ultimo passaggio, per alcuni aspetti, indebolisce un po’ uno dei motivi del ricorso della Sardegna, nel senso che il fatto che si chiuda una fase della politica migratoria per aprirne un’altra, non può essere considerato di per se in violazione della Costituzione. E’ abbastanza evidente che le Regioni che hanno presentato ricorso lo hanno fatto ‘anche’ per ragioni politiche. Sardegna compresa, ovviamente. Con il governatore Pigliaru che, rispetto ad una prima parte della legislatura nella quale i ricorsi li ritirava, quando riguardavano i soldi dei Sardi, ha deciso nella seconda di cambiare basso, dopo che a Roma è cambiato il Governo.
SardoSono
(admaioramedia.it)